A oltre 2 anni e mezzo dal processo di primo grado quando furono emesse otto condanne, si aprirà il prossimo 16 dicembre il processo di appello sui depistaggi, ipotizzati dalla seguiti al pestaggio e alla morte di Stefano Cucchi, il 31enne romano, arrestato il 15 ottobre del 2009 e deceduto sette giorni dopo all’ospedale Sandro Pertini. All’udienza di questa mattina, rinviata per la relazione e la discussione del procuratore generale e delle parti civili, due degli otto carabinieri imputati, Francesco Di Sano e Massimiliano Colombo Labriola, hanno annunciato di rinunciare alla prescrizione. “È una decisione dei miei assistiti – ha commentato all’Adnkronos l’avvocato Giorgio Carta, difensore dei due carabinieri – che hanno ritenuto che accettare la prescrizione sarebbe potuto sembrare equivoco. Sono sicuri di essere innocenti e confidano che venga riconosciuta la loro completa estraneità ai fatti contestati”.
Un terzo carabiniere, Lorenzo Sabatino, ha fatto sapere il suo difensore in aula, sta riflettendo e comunicherà la sua decisione prima dell’apertura del processo di secondo grado dove nel frattempo è intervenuta la revoca della costituzione di parte civile di Ilaria Cucchi e del padre.
Nel processo nato dall’inchiesta del pm Giovanni Musarò, il 7 aprile 2022 erano stati condannati tutti gli otto carabinieri imputati: a 5 anni il generale Alessandro Casarsa, 4 anni per Francesco Cavallo e Luciano Soligo, 2 anni e mezzo per Luca De Cianni, un anno e 9 mesi per Tiziano Testarmata, un anno e 3 mesi per Francesco Di Sano, un anno e tre mesi per Lorenzo Sabatino e un anno e nove mesi per Massimiliano Colombo Labriola. Le accuse contestate agli otto militari dell’Arma, a vario titolo e a seconda delle posizioni, vanno dal falso, al favoreggiamento, all’omessa denuncia e calunnia.
“L’ampia istruttoria dibattimentale ha permesso di ricostruire i fatti contestati e di accertare un’attività di sviamento posta in essere nell’immediatezza della morte di Stefano Cucchi, volta, ad allontanare i sospetti che ricadevano sui carabinieri per evitare le possibili ricadute sul vertice di comando del territorio capitolino”, aveva scritto il giudice monocratico Roberto Nespeca nelle motivazioni della sentenza di primo grado. Il giudice aveva sottolineato, inoltre, che “le ulteriori condotte realizzate nel 2015, nel contesto delle nuove indagini della Procura della Repubblica di Roma, fossero finalizzate a celare quelle di falso risalenti al 2009 (coinvolgenti il Comandante del Gruppo di allora, il Colonnello Alessandro Casarsa e il suo più stretto collaboratore, il tenente Francesco Cavallo in servizio in quel momento presso il Comando Provinciale di Roma, contiguo all’ufficio del Comandante del Reparto Operativo, Colonnello Lorenzo Sabatino), considerata la qualità dei protagonisti e dei rapporti tra alcuni di loro, e che i fatti risalenti al 2018, nel corso del dibattimento del cosiddetto Cucchi bis, avessero lo scopo di svilire la credibilità di Riccardo Casamassima, teste rilevante per l’ipotesi accusatoria”.