Dispiace dirlo, ma ripercorrendo le cronache dell’Autostrada del Sole – inaugurata appena 60 anni fa – viene una stretta al cuore. Partiamo dai fatti, non accusabili di velleità nostalgiche: 760 km da Milano a Napoli in otto anni in un territorio che più impervio non poteva essere, attraverso 853 tra ponti e viadotti, 38 gallerie e 572 cavalcavia. Il costo, che allora fu giudicato altissimo, si aggirava sui 270 miliardi di lire, che riportati all’attuale costo della vita non superano i 3,5 miliardi di euro. Ricordiamo che gli 87 km di Pedemontana Lombarda, fatte le dovute tare, costeranno più di 4 miliardi. Principale artefice fu l’ingegner Fedele Cova, che poi divenne amministratore delegato della neonata Società Autostrade, coadiuvato da centinaia di ingegneri e tecnici di tutti i settori e da migliaia di lavoratori. Dei quali, non dimentichiamolo, 160 persero la vita durante i lavori: un costo, questo sì, altissimo.
Allora le autostrade le faceva e le gestiva lo Stato. L’Iri acquistava i terreni tramite la Società Autostrade e appaltava i lavori a società esterne, poi dalla gestione delle tratte già in esercizio finanziava la realizzazione di nuove tratte, foraggiata anche dall’emissione di prestiti obbligazionari garantiti fino a 30 anni dalla stessa autostrada. I controlli erano assidui, particolare non secondario, per evitare varianti in corso d’opera. Lo stesso cemento era fornito dalla Cementir, azienda pubblica dell’Iri già costituita dall’ing. Cova, che utilizzava i residui siderurgici della Finsider, anch’essa statale, bypassando le imprese private. L’opera fu terminata addirittura 3 mesi prima del previsto e inaugurata il 4 ottobre 1964 dal presidente del Consiglio Aldo Moro.
Un’operazione da manuale mai più sperimentata in Italia, prima che i lavori pubblici diventassero un’enorme mangiatoia da spartire. Oggi le autostrade le fanno e le gestiscono i privati secondo il moderno schema del Project financing, che avrebbe dovuto rivoluzionare il settore e rilanciare una nuova stagione di investimenti pubblici. E si è visto. Costi moltiplicati e guadagni privati senza precedenti, puntellati da giganteschi contributi pubblici, per avere strade semideserte con pedaggi monstre. Lombardia docet.
E veniamo al punto, anticipando l’inevitabile propaganda governativa o chiunque voglia far leva su quella stagione per nuove colate di cemento e asfalto. Allora l’Italia cresceva a colpi del 5% all’anno, con punte dell’8, la produzione industriale raddoppiava e la motorizzazione di massa era ormai un fatto, per non parlare dei consumi. Il paese correva e divenne in pochi anni una delle maggiori potenze industriali del mondo, peraltro a costo dello spopolamento delle campagne e di un settore agricolo che, nonostante la meccanizzazione, rimase al palo. Film come Il sorpasso di Dino Risi, con un incontenibile Vittorio Gassman che sfreccia con la sua coupè, fecero una fotografia inesorabile di quello straordinario periodo ma ne mostrarono anche i limiti, soprattutto in termini di svuotamento ideale e valoriale. Ma tant’è. Urgevano infrastrutture per tenere il passo di tanta esuberanza, nella quale includiamo anche il turismo di massa, con file di Fiat 600 pronte a invadere i nostri litorali. Dell’ambiente nemmeno si parlava.
Nei successivi decenni è cambiato il mondo, non solo l’Italia. La deindustrializzazione ha mutato profondamente il volto produttivo del paese e da parecchi anni il Pil supera a fatica l’1%. D’altro canto siamo ai primi posti in Europa per densità automobilistica e il riscaldamento globale ci sta portando velocemente verso il baratro. L’aria è sempre meno respirabile e il problema è semmai quello di ridurre la circolazione privata e il traffico su gomma, come indicato dal piano Trasporti 2050 dell’Unione Europea. Il tema è garantire il futuro alle prossime generazioni e, nel presente, una qualità della vita accettabile. Eppure c’è ancora – tanti a dire il vero, in tutti gli schieramenti – chi pensa di riprodurre il modello anni 50, paventando una ripresa in grande stile degli investimenti autostradali.
Allora le autostrade mancavano, oggi andrebbero soprattutto mantenute e messe in sicurezza. Al contrario l’Autosole ci insegna molto sulla realizzazione e gestione delle infrastrutture, a partire dall’insensatezza del cosiddetto project financing. Ma quello nessuno lo mette in discussione.