In uno degli ultimi cortei, il 15 giugno vicino a Susa, ha accompagnato i No Tav guidando la sua auto, piano piano, a passo d’uomo. Nonostante fosse molto malato, Alberto Perino voleva essere presente a quella manifestazione fatta per denunciare i rischi di infiltrazioni della ‘ndrangheta nei lavori pubblici, dopo quanto emerso nell’inchiesta Echidna della Dda di Torino. E avrebbe voluto essere presente anche alle prossime proteste contro gli espropri di aree, terreni e case in cui sorgeranno i nuovi cantieri della Torino-Lione.

Ci teneva, ma sapeva che forse sarebbero state le ultime azioni di una vita da militante. La notte del 3 ottobre, Perino, 78 anni, a lungo leader e voce del movimento No Tav, è morto. “Il vuoto che ci lascia sarà incolmabile, si legge sul sito notav.info. Una cosa però è certa: nel corso della sua vita ha saputo trasmettere a tutte e tutti noi la voglia di lottare contro ogni ingiustizia e devastazione ambientale. Se è da trent’anni che la Valsusa resiste è anche e soprattutto merito suo”.

Viveva a Condove con la moglie Bianca. Il suo impegno politico e sociale era nato vicino a un certo mondo cattolico e antimilitarista. Nel 1971, insieme ad altri giovani del “Gruppo valsusino di azione non violenta”, aveva restituito il foglio di congedo dalla leva obbligatoria in una sorta di “obiezione a posteriori”, scriveva La Stampa dell’epoca: “È nostra ferma persuasione che se si vuole giungere ad un mondo senza guerre sia necessario arrivare prima ad un mondo senza eserciti e al ripudio totale dell’idea della violenza, era scritto nella lettera con cui contestavano l’esercito come istituzione e la spesa militare, Con le somme spese per mantenere le Forze Armate sì potrebbero costruire scuole, ospedali, case”. Sembra già di vedere una delle contestazioni ricorrenti alla Tav, con la denuncia di spese enormi a fronte della chiusura dei presidi ospedalieri nelle valli torinesi, ad esempio.

Alcuni anni dopo era finito a processo (il primo dei tanti che ha affrontato) per vilipendio alle forze armate e alla bandiera e per istigazione dei militari a disobbedire le leggi perché nel 1971 aveva, insieme ad altri, distribuito volantini contro l’esercito. Lui e i coimputati ne sono usciti con un’assoluzione in appello, dopo la condanna in primo grado: “Non è sufficiente gridare uno slogan al vento. Occorre che ci sia un pericolo concreto e reale”, avevano spiegato i difensori.

Perino ha lavorato come impiegato in banca ed era stato un sindacalista della Cisl. Verso la fine degli anni Ottanta ha cominciato il suo impegno contro la devastazione ambientale della sua Valsusa. “A sarà dura” era il suo grido di battaglia nelle manifestazioni No Tav, un grido che è diventato lo slogan di tutto il movimento. Tenace, a volte anche provocatorio, sapeva tenere insieme l’anima valsusina e quella antagonista del movimento e predicava la disobbedienza civile, fattori che per i suoi critici era un segnale di ambiguità.

Quando, nel maggio 2014, alcuni militanti dell’area anarchica sono finiti in carcere e poi a processo per terrorismo, ha deciso di non ritenerli “estranei” al popolo No Tav per non spaccare tra buoni e cattivi: “Siamo tutti terroristi, aveva detto al megafono durante una manifestazione tenuta in centro a Torino. Se loro sono colpevoli di essere terroristi, noi lo siamo da 25 anni”. Sapeva anche quando richiamare all’ordine i militanti più duri, mettendoli in guardia dal compiere azioni violente: “Chi oggi tira anche solo una castagna, un petardo, una pietra o altro, lo fa soltanto per fare un regalo a Salvini e fare incazzare noi, aveva detto il 27 luglio 2019. “Non facciamo gli stronzi, oggi deve andare tutto bene”.

Per alcuni anni aveva trovato in Beppe Grillo una spalla per la battaglia contro la Torino-Lione. I due erano anche finiti insieme davanti ai giudici per aver violato, il 5 dicembre 2010, i sigilli posti a una baita, ritrovo dei militanti, posta sotto sequestro. Era stato processato anche per aver aggredito due carabinieri nel corso di una manifestazione del 20 gennaio 2010 e, dopo una condanna in primo grado a nove mesi senza condizionale, era stato assolto: “È stato da sempre un non-violento”, aveva ricordato il suo avvocato Danilo Ghia.

Quando tra il 2018 il Movimento 5 Stelle, che in Val di Susa aveva trovato un forte appoggio, è andato al governo e ha cominciato a dare segnali ambigui, Perino ha profetizzato la fine della formazione politica fondata da Grillo e poi, nell’estate 2019, invitato gli eletti No Tav a lasciare il movimento e a mantenere la carica per proseguire l’impegno contro la grande opera: “La fiducia nel Movimento 5 Stelle è pari a zero, ma la fiducia nelle persone che abbiamo mandato in comune, regione e alcuni di quelli a Roma è altissima”, aveva spiegato a margine di un’assemble a Bussoleno nell’estate del 2019, quando il governo Conte I aveva dato il via libera al progetto. Una decisione, quella del governo targato M5s-Lega, che ha indebolito il movimento valsusino. Nonostante ciò, Perino ha continuato a credere nella bontà della sua causa, fino all’ultimo.

E il Movimento 5 Stelle Piemonte, in una nota, ha espresso “le sue più sentite condoglianze ai familiari e ai cari di Alberto Perino, volto storico del movimento No Tav della Val di Susa, scomparso poche ore fa dopo una lunga malattia. Con Alberto abbiamo condiviso tante battaglie fin dalla nascita del Movimento 5 Stelle, 15 anni or sono. Strenuo difensore del suo amato territorio, il ricordo di Alberto rimarrà vivo nelle tante persone che hanno avuto la fortuna di lottare al suo fianco per un’Italia più giusta”.

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