Una figuraccia per Milano, una possibilità per Roma. Anche se forse la seconda avrebbe potuto evitare la prima. Sfumata – anzi, proprio revocata per manifesta incapacità – l’assegnazione a San Siro, l’Italia ha ancora una chance di ospitare la finale di Champions League del 2027: si tratta dello stadio Olimpico. Per farlo, però, dovrà passare da una nuova gara. La settimana scorsa la notizia della revoca, per le mancate garanzie sullo stato futuro dell’impianto, che come è noto è al centro di svariati progetti di ristrutturazione e un infinito tira e molla fra Comune e club. Adesso la Uefa ha ufficialmente riaperto il bando, rivolto alle Federazioni: c’è tempo fino al 21 ottobre per candidarsi, mentre il dossier dovrà essere completato entro marzo; poi, a maggio 2025, sarà annunciata la scelta, si spera stavolta definitiva. L’assessore allo Sport del Comune di Roma, Alessandro Onorato, ha già comunicato la disponibilità della Capitale e nelle prossime settimane ci saranno le interlocuzioni con la Figc. Presto dunque capiremo se l’Italia sarà ancora della partita. La domanda che circola insistentemente nell’ambiente, però, è se tutto ciò fosse davvero necessario.

La revoca è stata tutto fuorché un fulmine a ciel sereno e il contraccolpo a livello internazionale non è stato affatto gradito a Palazzo Chigi. Che a Milano ci fossero problemi era noto da tempo, tanto che fin da principio, lo scorso maggio, l’assegnazione della Uefa era stata condizionata alla firma di ben precise garanzie, che poi non sono arrivate. Addirittura risulta al Ilfattoquotidiano.it che già ad inizio 2024, quando San Siro era già candidato, la FederCalcio aveva incontrato il Comune di Roma per sondare il terreno su un’eventuale disponibilità dell’Olimpico, visti i dubbi su Milano (che inizialmente erano anche di tipo economico, sull’accordo fra Inter e Milan gestori dell’impianto e la Uefa). In estate, quando il pressing del presidente Aleksander Ceferin si è fatto più insistente e si era capito di essere ormai vicini all’ultimatum, l’Italia avrebbe potuto trattare preventivamente il cambio, in modo da anticipare la revoca, dirottando la finale su Roma. Ma questo non è avvenuto.

Sul perché si moltiplicano le considerazioni. Per alcuni è la dimostrazione della debolezza dell’Italia nell’Europa calcistica, e del suo presidente Gabriele Gravina (cooptato da Ceferin come vicepresidente soltanto un anno fa, oggi la sua posizione non sarebbe più così salda). Un monito anche in vista di Euro 2032, altra candidatura strampalata messa in piedi dalla Figc senza nemmeno un vero dossier e nell’indifferenza del governo (non si hanno notizie dal ministro Abodi su passi avanti). Come visto con Milano, la Uefa non si farebbe troppi problemi a levarci il torneo. C’è anche un’altra chiave di lettura: che la FederCalcio non si sia spesa subito e fino in fondo per Roma proprio per le tensioni sulla poltrona di Gravina, al momento tutto concentrato sulla propria riconferma.

Inoltre l’Olimpico, a differenza di San Siro che è in gestione ai club, obbligherebbe la Figc a coinvolgere Sport e Salute, proprietaria dell’impianto, vista dal presidente federale come propaggine del governo (dal presidente Mezzaroma alla new entry De Mita) che lo ha messo nel mirino. È mancata l’opera di diplomazia per mantenere la finale in Italia, o se pure un tentativo è stato fatto evidentemente non è stato sufficiente. Comunque sia andata, è una sconfitta per il calcio italiano, l’ennesima. A cui si può ancora rimediare con la nuova candidatura di Roma, a patto che le istituzioni ci credano davvero. Intanto però l’iter è ripartito da zero e nuove sfidanti più accreditate potrebbero farsi avanti.

X: @lVendemiale

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