Televisione

Matilda De Angelis: “Chi non ha vissuto la guerra non sa cosa sia. I nonni me l’hanno raccontato e quando ho impugnato la pistola, ho pensato alle loro storie”

L'attrice è una delle protagoniste della serie tv internazionale targata Prime Video e disponibile in sei episodi dal 10 ottobre

di Andrea Conti

Una serie apocalittica, super tecnologica, dove però i sentimenti degli esseri umani sono al centro e pronti a sorprendere lo spettatore. Sono gli ingredienti di “Citadel: Diana”, la serie tv internazionale di Prime Video in sei puntate dirette da Arnaldo Catinari, disponibili sulla piattaforma dal 10 ottobre e prodotte da Cattleya – parte di ITV Studios – con Amazon MGM Studios.

Tutto è ambientato nella Milano apocalittica del 2030, dove otto anni prima l’agenzia indipendente di spionaggio Citadel è stata distrutta da una potente organizzazione rivale, Manticore. Da allora, Diana Cavalieri (Matilda De Angelis), spia di Citadel sotto copertura, è rimasta sola, intrappolata tra le linee nemiche come infiltrata in Manticore. Quando finalmente le si presenta l’occasione di uscirne e sparire per sempre, l’unico modo per farlo è fidarsi del più inaspettato degli alleati, Edo Zani (Lorenzo Cervasio), l’erede di Manticore Italia e figlio del capo dell’organizzazione, Ettore Zani (Maurizio Lombardi), in lotta per la supremazia contro le altre famiglie europee. Nel cast anche Filippo Nigro, nei panni di una spia. Abbiamo incontrato Matilda De Angelis.

Il tuo personaggio, Diana, reprime le emozioni a causa di alcune vicende legate al suo passato, è forse anche una fotografia della società di oggi?
Credo che possa essere, in un qualche modo, una fotografia della società nella misura in cui c ‘è sicuramente ancora, secondo me, in alcune categorie, in alcune parti del mondo un certo tipo di repressione della società. Una repressione che poi diventa emotiva. Ci sono culture in cui mostrare sentimenti, non è possibile…Ci sono poi culture in cui le donne possono mostrare certe fragilità rispetto agli uomini. Ci sono culture in cui ci si aspetta un certo tipo di atteggiamento da una o dall’altra categoria. Quindi sì, in un qualche modo potrebbe essere una sorta di parallelismo.

Qual è il fulcro su cui si basa “Citadel: Diana”?
Nel caso specifico della nostra serie è veramente la storia più che altro di liberazione di una ragazza, non solo dai traumi nel passato, ma veramente dalla repressione della società e da tutta una serie di altre cose.

Maneggiare le armi, come è accaduto a te sul set, non è in assoluto piacevole. Hai mai pensato a un contesto di guerra a cosa possono provare vittime e carnefici?
Diciamo che nel contesto in cui mi muovevo è stato necessario per me spesso cercare di immedesimarmi in una cosa, che però era veramente molto lontana da tutto quello che potevo immaginare perché credo che chi non ha mai vissuto la guerra non possa capire che cosa è la guerra. In ogni caso ho cercato di immaginare cosa volesse significare ritrovarsi, da un momento all’altro, in una città in preda al delirio e al panico, con gente che corre, che piange, gente che urla, il Duomo di Milano distrutto.

Come sei riuscita ad affrontare questo “muro”?
Ho pensato ai miei nonni, a quello che mi avevano raccontato della guerra. Mi sono ricollegata a alle sensazioni che ho provato nell’ascoltare il racconto della guerra. Ho cercato di immaginarmi come mi sarei sentita in quelle circostanze, perché sarebbe stato uno sforzo immaginativo altrimenti troppo grande, troppo doloroso e io sono una persona anche profondamente empatica.

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