Fra i più duri c’è Martin Kettle sul Guardian che, nel recensire Unleashed, il tomo autobiografico di Boris Johnson sulla propria carriera politica, lo ribattezza Memorie di un clown. Sommario: “Tutta l’elaborata retorica di questo mondo non può nascondere il vuoto al centro di questo libro egoistico e solipsistico”.

Non è una sorpresa: il Guardian, quotidiano di centro sinistra, è da sempre uno dei più critici di Boris Johnson, fin da quando ha messo la sua notevole popolarità al servizio della campagna Vote Leave che ha portato alla vittoria del Sì al referendum sulla Brexit. Una scelta di campo, come è stato chiarito in seguito, puramente opportunistica.

Come spesso accade, il libro è l’occasione per rivitalizzare la faglia ideologica e d’interessi che attraversa i media britannici. Il Daily Mail, populista di destra, non fa che tesserne le lodi, chiamandolo ‘l’autobiografia politica del secolo”. A tanto entusiasmo non può essere estraneo il fatto che sul giornale Johnson tiene una rubrica pagata, pare, un milione di sterline l’anno.

Per l’Independent, più a sinistra del Guardian, il libro è “senza vergogna, acido, prevedibile, autoassolutorio”. Il Times, il quotidiano dei conservatori pragmatici che di Johnson non sopportano nemmeno la foto, lo trova “un importante documento storico, ma non necessariamente di grande valore. Qualsiasi storico che lo analizzi è probabile che ricordi almeno in parte il concetto, appreso nella storia delle superiori, sulla affidabilità delle fonti. Il motivo per cui Johnson, un biografo di dubbio merito, si è rivolto all’autobiografia molto prima di quanto avrebbe voluto, è che il suo partito ha correttamente calcolato che il Paese non poteva più credere a una parola di ciò che diceva”.

Torniamo a Kettle, che sottolinea il tono verboso, fiorito, prolisso ed autocelebrativo del finto intellettuale che Boris continua a sfruttare – è incredibile che settori interi dell’élite britannica non abbiano gli strumenti per smascherarlo – Johnson rivela dettagli di spaventosa incompetenza, narcisismo e disinvolta superficialità anche nei giorni più critici del suo premierato, quelli che avrebbero richiesto totale dedizione.

Esempio, il passaggio che descrive il momento drammatico in cui Johnson, nell’aprile 2020, viene ricoverato in ospedale a causa del Covid, che aveva fino a quel momento invitato ad affrontare con spirito vincente – si era fatto riprendere mentre stringeva mani senza protezione: “Non era solo il malessere fisico; era il senso di colpa, l’imbarazzo politico di tutto ciò. Dovevo rimbalzare di nuovo in piedi come una palla di gomma. Dovevo essere là fuori, a guidare il paese in prima linea, a risolvere il problema dei PPE a sistemare le case di cura, a guidare la ricerca di una cura”.

Per Kettle, oltre alle considerazioni stilistiche, “c’è anche la pura disonestà e le bugie. In realtà, Johnson è stato un primo ministro cronicamente indeciso, sicuramente non uno che ha guidato in prima linea. I PPE non sono stati affatto risolti, né le case di cura sistemate. La sua ammissione solipsistica di aver pensato che andare in ospedale fosse un’immagine imbarazzante per un leader mostra dove risiedevano le sue priorità istintive”.

Ci sono altre rivelazioni problematiche: per esempio, Johnson imbarazza Buckingham Palace rivelando che la Regina Elisabetta aveva un tumore alle ossa, informazione mai uscita da Palazzo. E anche che, al contrario di lui, lei leggeva attentamente i briefing di sicurezza, facendogli domande su dossier strategici di cui lui ignorava le basi.

Vero, molti primi ministri hanno pubblicato le proprie memorie, ma non così presto dopo le dimissioni e, di solito, ne hanno approfittato per una riflessione profonda sui propri errori, non per una sfilata autocelebrativa condita di fenomenale battage pubblicitario.

Ma su Boris Johnson c’è una ulteriore riflessione da fare. Perché i media continuano a dare una piattaforma così ampia a un uomo che, da Primo ministro, è stato determinante nell’affossare non solo il proprio partito ma anche la fiducia generale nella politica? A cosa è dovuta questa costante fascinazione, malgrado i comprovati limiti umani e politici?

Domanda ampia, che ha a che fare con la connivenza di un certo giornalismo con la politica, in modo non troppo diverso dall’equivalente italiano. L’esempio più evidente di questa connivenza? Laura Kuenssberg è una star del giornalismo politico britannico. Dopo essere stata la prima donna alla guida della redazione politica di BBC News, proprio negli anni cruciali fra il 2015 e il 2022, oggi guida il Sunday Morning Politics Show, cioè conduce le interviste della domenica mattina che spesso decidono l’agenda della settimana. È, in sintesi, una delle reporter più potenti del Paese. È anche, da anni, accusata di essere legata a Boris Johnson da un antico rapporto di amicizia e vicinanza politica. Boris Johnson era l’ospite della puntata di domenica 3 ottobre. Cancellata, dopo che la Kuenssberg ha, per errore, mandato a lui una email con le note preparatorie destinate alla propria redazione. Lo ha ammesso lei stessa con un imbarazzato post sui social: “Mentre mi preparavo per intervistare Boris Johnson domani, per errore gli ho inviato le nostre note preparatorie in un messaggio destinato al mio team. Ovviamente, questo significa che non è giusto proseguire con l’intervista. È molto frustrante, e non ha senso fingere che sia qualcosa di diverso da imbarazzante e deludente, dato che ci sono molte domande importanti da fare. Ma, a parte la figuraccia, l’onestà è la miglior politica. Ci vediamo domenica.”

La star si appella all’onestà, e non ci sono prove che la verità sia un’altra. Ma, al di là dell’umiliazione professionale pubblica, la ricostruzione alternativa che circola, non solo sui social ma in molti circoli politici, è che Kuenssberg abbia sempre comunicato con Johnson, e con altri potenti. Stavolta però i messaggi sarebbero stati intercettati, o la prassi finalmente contestata internamente, e da qui l’ammissione e la cancellazione dell’intervista. Questo, il livello di fiducia in una delle principali professioniste dell’equivalente inglese della Rai.

L’altra domanda è più generale, e la pone fra gli altri un’altra giornalista, altrettanto brillante ma molto meno istituzionale: Haardep Matharu, co-fondatrice e direttrice di Byline Times, un conglomerato di testate nato per controbilanciare la narrazione dei “media istituzionali”.

Su X, Matharu scrive: “Sono l’unica a non capire perché un’intervista in prime time con l’ex primo ministro Boris Johnson – per l’uscita del suo libro – sia stata considerata necessaria dalla BBC sin dall’inizio? Questo è il vero problema qui. A chi i media danno una piattaforma e il perché/come lo fanno conta”. Risposta possibile: l’incompetenza cialtronesca vende copie. Secondo le prime rilevazioni, Unleashed, che non è ancora uscito ma viene già spinto con una offerta a metà prezzo, è al primo posto nella classifica dei bestsellers di Amazon UK.

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