L’Unione Europea si è spaccata sulla proposta di introdurre dazi nei confronti di alcuni produttori di auto elettriche assemblate in Cina. Nel Comitato difesa commerciale (Tdi), che si è riunito venerdì mattina, non è stata raggiunta la necessaria maggioranza qualificata a favore o contro la proposta della Commissione: 10 Stati tra cui hanno l’Italia e la Francia votato a favore, cinque, guidati dalla Germania, contro. Ben 12 paesi si sono astenuti, tra questi pure la Spagna.

I dazi di cui si discute sono variano tra i diversi produttori. Per Byd, la più importante casa cinese, sono fissati al 17% (invariato rispetto alla proposta sui dazi provvisori), per Geely al 18,8% (cifra rivista al ribasso rispetto al 19,3%); Saic al 35,3% (in calo rispetto al 36,6%). Quanto alla statunitense Tesla, sottoposta a una valutazione individuale, il dazio è 7,8% in calo rispetto al 9%. Altri produttori che hanno collaborato all’indagine saranno soggetti a un dazio del 20,7% (in calo dal 21,3%), mentre sarà del 35,3% per le società che non hanno collaborato, in calo dal 36,6%.

La palla passa ora alla Commissione che può comunque procedere e applicare il regolamento. Ma da Berlino è subito arrivato l’altolà: il ministro delle Finanze tedesco, Christian Lindner, ha scritto su Twitter che “Ursula von der Leyen non dovrebbe innescare una guerra commerciale” e “abbiamo bisogno di una soluzione negoziata”. Pechino fa sapere di opporsi con forza ai dazi approvati dall’Unione europea. La Cina ha un grandissimo potere di ritorsione, il suo è il mercato dell’auto più grande al mondo, sbocco vitale per molte case europee, a cominciare dalle tedesche Volkswagen, Mercedes e Bmw.

“Le tariffe previste rappresentano l’approccio sbagliato e non migliorerebbero la competitività dell’industria automobilistica europea”, ha affermato il gruppo Wolkswagen in una nota, incoraggiando ulteriori negoziati con Pechino “per prevenire eventuali dazi compensativi e quindi una guerra commerciale”. Pure il ministro Adolfo Urso coglie i potenziali rischi: “Noi siamo contrari ad ogni ipotesi di ‘guerra commerciale e lavoreremo insieme per evitarla”. In Italia, l’unico fermamente convinto dell’opportunità di introdurre tariffe doganali è il presidente di Confindustria Emanuele Orsini.

Margini di mediazione, in attesa della decisione finale della Commissione, ancora esistono. “Un accordo tra Bruxelles e Pechino per rispettare le regole dell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto), che obbligano chi esporta ad aumentare il prezzo del prodotto, è ancora possibile. L’intesa aprirebbe la strada a una marcia indietro da parte dell’Ue sull’imposizione di dazi definitivi sulle auto elettriche provenienti dalla Cina”, dice un alto funzionario europeo. Pechino fa sapere che i negoziati proseguono “a livello di team tecnici”

L’ex presidente della Bce Mario Draghi ha notato lunedì scorso come l’Ue non abbia una strategia industriale comune, che invece è necessaria se si vuole attuare la transizione verde. L’esecutivo Ue fa buon viso a cattivo gioco. In una nota scrive che “la proposta della Commissione di imporre dazi compensativi definitivi sulle importazioni di veicoli elettrici a batteria dalla Cina ha ottenuto il supporto necessario dagli Stati membri dell’Ue per l’adozione delle tariffe” e “ciò rappresenta un altro passo verso la conclusione dell’indagine anti-sovvenzioni della Commissione”.

Poi ricorda che “l’Ue e la Cina continuano a lavorare duramente per esplorare una soluzione alternativa che dovrebbe essere pienamente compatibile con il Wto, adeguata ad affrontare la sovvenzione pregiudizievole stabilita dall’indagine della Commissione, monitorabile e applicabile. Un regolamento di esecuzione della Commissione che includa le conclusioni definitive dell’indagine deve essere pubblicato nella Gazzetta ufficiale entro il 30 ottobre 2024, al più tardi”.

E mentre Ue e Cina si minacciano, in Gran Bretagna crescono le pressioni delle case automobilistiche per ottenere sostegni pubblici extra dal governo britannico per lo sviluppo dei veicoli elettrici. A rilanciare l’appello all’esecutivo laburista di Keir Starmer, è stata oggi la Society of Motor Manufacturers and Traders (Smmt), organizzazione industriale di categoria.

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