Beauty e Benessere

Skin Dysmorphia, quando l’ossessione per la cura della pelle ci fa perdere il senso di realtà. “I social media hanno facilitato l’ascesa della cultura dell’immagine”

Con l’avvento e la diffusione dei social, avere una pelle brutta è diventata una colpa grave

di 30science per Il Fatto
Skin Dysmorphia, quando l’ossessione per la cura della pelle ci fa perdere il senso di realtà. “I social media hanno facilitato l’ascesa della cultura dell’immagine”

Filtri, ritocchi, aggiustamenti, modifiche… E poi creme coprenti, correttori, trucchi, fondotinta e così via in una sequela infinita di “migliorie” che dovrebbero permetterci di sfoggiare, fosse solo in foto, l’incarnato perfetto. Con l’avvento e la diffusione dei social, avere una pelle brutta è diventata una colpa grave.

E quando questa colpa la si interiorizza la lotta al poro e al punto nero può diventare una questione seria in grado di minare la nostra salute. Si parla allora di Skin Dysmorphia (Disturbo da dismorfismo corporeo con particolare relazione alla pelle) dove la persona crede di avere imperfezioni che o sono lievi o non esistono e vi pone continuamente mano, controllandosi, paragonandosi agli altri, cercando in ogni modo di nascondere quello che per lei (o lui) è un difetto intollerabile. Naturalmente se la persona in questione è immersa in un ambiente giudicante, a sua volta intriso di una maniacale attenzione per la bellezza (o supposta tale) la situazione degenera facilmente.

Ecco che luoghi digitali come TikTok possono diventare un vero e proprio inferno. Basta dare un’occhiata ai commenti ai video dove star come Pamela Anderson o Kendall Jenner si mostrano al naturale: “Irriconoscibile”, “troppo sole”, “i morti viventi esistono davvero”, “Wow nonostante tutte le iniezioni e i soldi la sua pelle è ancora orribile”. E non sono solo le star ad essere bombardate e – probabilmente – ad accusare il peso del giudizio sulla propria pelle.

La professoressa di Psicologia ed esperta del settore Phillippa Diedrichs ha scritto nel rapporto “The Real State of Beauty” di Dove che: “I social media hanno facilitato l’ascesa della ‘cultura del selfie’, in cui siamo più preoccupati che mai dell’auto-presentazione. Lo sappiamo, quando condividiamo la nostra immagine online, ha il potenziale per essere vista da un gruppo molto ampio di persone, possibilmente provenienti da tutto il mondo – quindi curiamo con molta attenzione la nostra identità online”.

E ha aggiunto: “Senza un’attenta cura, i nostri feed possono essere una dimensione alternativa in cui ognuno ha il sorriso “perfetto”, il corpo “perfetto”, i capelli “perfetti”, la posa “perfetta”. Può creare ideali di bellezza che sembrano ottenibili, come se tutti dovessimo essere in grado di raggiungere questi standard quando la maggior parte delle persone (comprese le persone nelle immagini stesse) non sembrano nemmeno così nella realtà. I pochi che si avvicinano di più a questi ideali hanno vinto il premio lotteria genetica o hanno subito procedure cosmetiche e ho speso innumerevoli dollari e tempo per ottenere quel look”.

Le conseguenze di questo specchio malato che ci raffigura più brutti di quanto non siamo in realtà (o comunque di quanto ci dovremmo sentire per mantenere la nostra sanità mentale), si riflettono nei numeri: secondo il rapporto 1 donna su 3 (38%) afferma di sentirsi costretta a modificare il proprio aspetto a causa di ciò che vede online; 6 donne e ragazze su 10 concordano sul fatto che c’è molta pressione nel mostrare il meglio di sé sui social media; il 45% delle ragazze crede che non esista scusa per non essere bella, con tutto ciò che è a disposizione delle donne oggi.

Gianmarco Pondrano d’Altavilla

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