Lavoro & Precari

Fino a sette anni per una liquidazione: va risolta la vergogna del Tfs per i dipendenti pubblici

Un’attesa che può essere lunga fino a 7 anni per riscuotere la liquidazione. Non è un errore di calcolo, ma la realtà di fatto che riguarda, oggi, da vicino, i dipendenti della pubblica amministrazione italiana.

Il trattamento di fine servizio (TFS) dei dipendenti pubblici, l’equivalente del trattamento di fine rapporto (TFR) per i dipendenti nel privato, percepito al termine della carriera lavorativa può, infatti, essere riscosso dai lavoratori della PA solo dopo anni. Una condizione, questa, che non lascia scampo a nessuno, ma riguarda tutti, sia coloro che vanno in pensione anticipata sia coloro che vengono collocati obbligatoriamente in pensione dall’amministrazione. Per il TFS si parla, infatti, di un’attesa di almeno un anno dopo il trattamento di pensione. A questo, si aggiungono i tempi per la liquidazione che, molto spesso arrivano anche fino a 2 anni. Inoltre, se si superano i 50mila euro lordi, l’erogazione avviene in più tranche, la rateizzazione richiede un ulteriore tempo aggiuntivo che può andare dai 2 ai 4 anni.

In conclusione, una volta maturato il TFS, questo non solo viene erogato dopo 5 o addirittura 7 anni, ma anche senza alcuna rivalutazione. Siamo di fatto davanti a una concreta penalizzazione del dipendente pubblico.

Un vero e proprio sequestro di somme accantonate e di pertinenza del lavoratore. Per sopperire a questo stato di cose, dal 2020 è intervenuta, a seguito di specifico protocollo governo-ABI, la possibilità per il neo pensionato pubblico di richiedere in banca un anticipo del proprio TFS, ma naturalmente con costi bancari anche molto elevati (fino al 5%); successivamente, nel 2023, anche l’Inps ha reso possibile l’anticipazione del maturato, a costi certamente più contenuti (1% + 0,50% spese amministrative), ma pur sempre e comunque a carico dei lavoratori, e comunque con un finanziamento che è già esaurito da 6 mesi.

La legge è uguale per tutti. Anche la Corte Costituzionale si è espressa per ben due volte a seguito di ricorsi in giudizio di pubblici dipendenti, la prima nel 2019 (sentenza n. 159) e la seconda più recentemente, nel 2023 (la n. 130), con la quale ha riconosciuto l’illegittimità del differimento e della rateizzazione per raggiunti limiti di età (67 anni) e di servizio (65 anni), invitando il legislatore a porre fine a questo stato di cose nei confronti dei lavoratori pubblici.

Di diritti e giustizia sociale. Nonostante le raccomandazioni, la legge di bilancio 2024 non reca alcuna norma di attuazione della sentenza della Corte Costituzionale, e la Ragioneria dello Stato a marzo u.s. ha addirittura espresso “parere negativo” sul ddl Colucci che recava norme attuative della sentenza della Corte Costituzionale, confermando in tal modo l’inaccettabile status quo. Ci troviamo, dunque, di fronte ad un’autentica “vergogna” che penalizza ingiustamente e incomprensibilmente i lavoratori pubblici, e di fronte alla quale registriamo ancora una volta il silenzio assordante del governo.

Parte da qui la dura presa di posizione dei sindacati che bussano alle porte dello Stato per riproporre un ricorso, dopo già due moniti da parte della Corte Costituzionale. Una grande partecipazione da parte della quasi totalità delle confederazioni del pubblico impiego attraverso la messa in campo di azioni, contatti e sollecitazioni a tutte le forze politiche. A partire dalla petizione pubblicata a luglio su change.org che sta già traguardando le 40mila firme, organizzata dalle sigle sindacali delle Confederazioni Cgil, Uil, Cgs, Cse, Cosmed, Cida, Codirp e diretta al governo e al Parlamento per porre fine alla dilazione del Trattamento di Fine Servizio (TFS) dei dipendenti pubblici e richiedere la rimozione immediata di questo vulnus attraverso modifiche legislative per sanare tale ingiustizia e abbattere disparità e disuguaglianze sociali. Ma non solo, fra le azioni intraprese anche il sostegno legale a ricorsi in giudizio da parte di lavoratori pubblici e iniziative di pressione politica e parlamentare.

La PA, il volto del Paese. Una situazione, dunque, divenuta insostenibile ai danni dei dipendenti della Pubblica Amministrazione, che ancora una volta non vedono riconosciuto il loro ruolo. In questa direzione è di vitale importanza attuare delle proposte concrete, farsi promotori di una forte mobilitazione e prendere coscienza che uno stato di diritto deve garantire uguaglianza ed equità ai propri lavoratori. L’obiettivo è uno: che venga attuato il pronunciamento della Corte Costituzionale per vedere finalmente allineate tra loro le regole del trattamento economico di fine rapporto tra lavoro pubblico e privato, senza più figli e figliastri.