All’entrata della mostra Tutti De Sica (Galleria del Modernissimo, Bologna, ottobre 2024 – gennaio 2025) avrebbero dovuto appoggiare su un tavolo un mazzo di carte aperto e sparpagliato. In onore del Conte Prospero, quel personaggio che in L’Oro di Napoli costringeva un bambinetto a giocare a carte (a soldi) contro di lui; come all’inesauribile compulsiva passione per il gioco che Vittorio De Sica coltivò in vita e in ogni casinò del globo.
Solo tra quelle carte avremmo potuto, e potremmo un giorno trovare, le mille luci, le mille versioni, i mille rimpianti, di un artista che amò il cinema, lo fece veleggiare nel nazionalpopolare spinto (gli anni trenta, i film da attore con Camerini); lo accompagnò nell’umana universalità del Neorealismo (Ladri di biciclette, Umberto D, ecc.. da regista semplice e allo stesso tempo ricercato, con due Oscar); e ancora di nuovo lo riportò all’apice del brillante dualismo divistico Sophia Loren- Marcello Mastroianni (terzo Oscar) nei sessanta; fino al quarto Oscar per Il giardino dei Finzi Contini (1972) quando De Sica arrotondava il mensile con dubbie comparsate (Dracula cerca sangue di vergine… e morì di sete).
Di tutti i macro periodi del regista laziale partenopeo c’è larga traccia memorabilistica in Tutti De Sica, con particolare predilezione per il cosiddetto “cappuccino” ovvero per il connubio con l’emiliano Cesare Zavattini nato nel 1935 ed esauritosi solo con la morte del regista. L’uno mescolato artisticamente e poeticamente nell’altro fino a confondersi. Mesi e mesi di lettere per passare dal voi al tu per un sodalizio professionale che sembra uscito da un fato benevolo e lungimirante.
Merito dei curatori della mostra, nata principalmente per il lascito ricchissimo della figlia Emi alla Fondazione Cineteca di Bologna, è quello di soffermarsi su foto, lettere, foglietti, appunti manoscritti, nonché in mirabili stralci di giornali e riviste dell’epoca contrassegnati da un naturale discettare sulla dignità dei poveri e dei miserabili, diventati improvvisi protagonisti cinematografici ma senza bombetta e surrealismo chapliniani. Taglio del nastro di Tutti De Sica per il figlio Christian. “Lui e Zavattini avevano bisogno di dire la verità. Umberto D. comincia con uno sciopero dei pensionati, tant’è che Andreotti non voleva che premiassero il film a Venezia”, ha ricordato l’interprete simbolo dei cinepanettoni. “Papà ci ebbe (Christian e Manuel ndr) che era già sui cinquant’anni. Lo vedevo tre volte alla settimana, si sdoppiava sempre su due famiglie (quella di Giuditta Rissone e quella di Maria Mercader ndr). Invece di avere un papà che ci faceva giocare a pallone come volevamo noi, lui ci faceva recitare. Ci truccava, ci dirigeva davanti agli amici ed era severissimo: dovete sapere la parte a memoria!”.