Il professor Carlo Signorelli spiega al FattoQuotidiano.it la necessità di maggiore attenzione e ricerca in merito alle sostanze chimiche usate nei cibi
I ricercatori si aspettavano di trovare nell’organismo umano alcune centinaia di contaminanti – già più che sufficienti per destare dubbi – e invece ne hanno trovati ben 3.601. Da dove arrivano? Dalle confezioni degli alimenti e da altri materiali che vanno a diretto contatto con i cibi durante la loro lavorazione, conservazione e cottura: alcuni di queste sostanze sono già note come pericolosi per la salute umana, mentre si sa ancora pochissimo di molti altri. La scoperta è pubblicata su Journal of Exposure Science & Environmental Epidemiology dai ricercatori del Food Packaging Forum (un’organizzazione no profit basata a Zurigo) insieme a colleghi di quattro istituzioni accademiche.
La ricerca
Sono state esaminate oltre 14mila sostanze che possono entrare a contatto con gli alimenti e ne ha valutato la presenza nel corpo umano analizzando i dati riportati in studi scientifici e database di biomonitoraggio che tracciano le sostanze chimiche nei campioni biologici come quelli di sangue, urina e latte materno. I ricercatori hanno quindi scoperto 3.601 sostanze, di fatto il 25% di quelle note finora. “Sapevamo già che le sostanze problematiche negli imballaggi alimentari non si limitano a quelle ben note, come bisfenolo e ftalati – commenta uno degli autori dello studio, Olwenn Martin dell’University College di Londra – ma siamo rimasti sorpresi dall’elevato numero di sostanze a contatto con gli alimenti per le quali esistono prove di esposizione umana. Ciò dimostra che è necessario fare più ricerche sulla tossicità e l’esposizione a molte sostanze e sulla regolamentazione del loro utilizzo negli imballaggi alimentari. Vorremmo che questa nuova base di prove venisse utilizzata per migliorare la sicurezza dei materiali a contatto con gli alimenti, sia in termini di normative che nello sviluppo di alternative più sicure” ha detto la coordinatrice dello studio, Jane Muncke.
Il parere dell’esperto
“Ci sono numerose sostanze chimiche che vengono utilizzate per, o che possono formarsi durante, la produzione di materiali e oggetti a contatto con gli alimenti (MOCA). Per alcune di esse, come bisfenolo A (BPA) e ftalati, esistono delle evidenze sulla loro pericolosità per l’uomo. Di molte altre sostanze sappiamo molto meno – spiega al FattoQuotidiano.it il professor Carlo Signorelli, Ordinario di igiene, Università Vita-Salute San Raffaele e Direttore della Scuola di Specializzazione in Igiene e Medicina preventiva dell’ateneo – Ciò non significa che tutte queste sostanze siano necessariamente pericolose, ma piuttosto che non sono ancora state studiate in modo esaustivo. I dati emersi dallo studio non evidenziano pertanto un immediato rischio elevato, quanto la complessità crescente della produzione alimentare e in questo caso specifico dei MOCA e sottolineano la necessità di maggiore attenzione e ricerca in merito”.
Di fatto, questa situazione non tranquillizza i consumatori.
“I potenziali rischi per la salute umana dipendono dalla tipologia di sostanze, dalle dosi a cui siamo esposti e dalla durata di tale esposizione. Come evidenziato dagli autori, per alcune sostanze, ampiamente studiate, sappiamo che possono avere effetti negativi sulla salute. Tuttavia, per molte altre sostanze chimiche usate nei materiali a contatto con gli alimenti, mancano dati tossicologici completi, il che rende, al momento, difficile valutare con precisione i rischi per la salute umana”.
In medicina e scienza si parla di principio di precauzione quando si hanno dubbi sulla pericolosità di alcuni elementi. Per cui, che cosa possiamo fare per difenderci dall’esposizione verso sostanze spesso non ancora ben conosciute nei loro effetti?
“Ci sono alcune strade percorribili dagli operatori del settore alimentare per evitare rischi inutili e possono essere:
– Sostituzione delle sostanze ad alto rischio. Esistono già prove chiare sulla pericolosità di alcune sostanze chimiche comunemente utilizzate negli imballaggi alimentari, come il già citato bisfenolo A (BPA) e alcuni ftalati, che sono associati a problemi endocrini e riproduttivi. Molti di questi sono già regolamentati o limitati dall’Unione Europea. La strada più immediata è promuovere l’uso di alternative sicure, che siano state testate a fondo e dimostrate non dannose;
– Miglioramento e continuo uso dei processi di valutazione e test. È essenziale garantire che tutte le sostanze chimiche utilizzate negli imballaggi alimentari siano sottoposte a test tossicologici rigorosi prima della loro commercializzazione. Questo significa rafforzare le normative sui MOCA e aumentare la sorveglianza su nuove sostanze chimiche, specialmente quelle meno studiate.
Mentre da parte delle Autorità, tra le azioni possibili vanno sicuramente citate la:
– Necessità di informare e rendere consapevoli i consumatori sui comportamenti che possono ridurre i rischi, come leggere attentamente le istruzioni riportate dal produttore per il coretto utilizzo di contenitori e imballaggi;
– Ricerca continua. Dobbiamo continuare a sostenere la ricerca per comprendere meglio l’effetto a lungo termine delle sostanze chimiche sugli esseri umani. L’EFSA e altre Autorità sanitarie svolgono un ruolo chiave nel fornire raccomandazioni basate su evidenze scientifiche, ma è necessario incentivare studi più approfonditi su sostanze poco conosciute.
Segnalo infine l’attività delle autorità competenti a livello locale (aziende sanitarie locali – ATS in Lombardia-) su indicazione nazionale, che hanno come obiettivo i controlli ufficiali mirati alla sicurezza alimentare anche con la vigilanza sui MOCA, pianificata, e non, ogni anno con ispezioni, campionamenti e altre verifiche”.