Economia & Lobby

Le commissioni sui pagamenti postali sono un’assurdità: l’ennesima anomalia italiana

In Italia il cittadino non è solo schiacciato dalle tasse, dalla burocrazia opprimente e da un servizio pubblico spesso inefficiente. Si trova anche a dover pagare commissioni sui pagamenti attraverso sistemi come PagoPA e il bollettino postale. Un’assurdità, considerando come il resto del mondo si muova verso la gratuità o almeno verso una semplificazione dei costi di gestione per i servizi pubblici digitali. Eppure, in Italia, sembra che si debba pagare anche per pagare.

Ma cosa giustifica queste commissioni? È davvero una necessità economica o piuttosto l’ennesima zavorra burocratica che grava sulle spalle del contribuente? La beffa diventa ancora più evidente quando si scopre che gli amministratori delegati delle società che gestiscono questi sistemi – come Poste Italiane e PagoPA SpA – vantano stipendi a sei cifre, finanziati con soldi pubblici. Mentre il cittadino comune deve sborsare qualche euro per ogni transazione, quei pochi ai vertici accumulano profitti stellari. Siamo di fronte a un sistema che premia i pochi a scapito dei molti.

Gli stipendi dei vertici sono davvero scandalosi: Matteo Del Fante, amministratore delegato di Poste Italiane, percepisce un compenso annuo di circa un milione e 638mila euro, comprensivo di bonus e incentivi, tutti finanziati con soldi pubblici. Alessandro Moricca, amministratore delegato di PagoPA SpA, ha un compenso annuo di 120mila euro, anch’esso a carico del contribuente – come riportato nel verbale dell’Assemblea della società del 17 gennaio 2023.

Facciamo un confronto con l’estero: in molti paesi europei, i servizi di pagamento verso la pubblica amministrazione sono gratuiti o, quantomeno, le commissioni sono simboliche e giustificate da reali costi di gestione. L’Italia, invece, con i suoi bollettini postali antiquati e un sistema di pagamento digitale che non sembra davvero favorire il cittadino, resta un’anomalia. E mentre gli stipendi dei dirigenti lievitano, i cittadini continuano a pagare per un servizio che, paradossalmente, dovrebbe semplificare la vita quotidiana.

L’introduzione di PagoPA, nelle intenzioni iniziali, doveva ridurre la frammentazione dei metodi di pagamento e garantire trasparenza. Ma nella pratica si è trasformato in un’ulteriore tassa nascosta. È giusto che il cittadino debba pagare per il diritto di pagare? E soprattutto, è lecito che gli amministratori delegati di queste società percepiscano compensi milionari, finanziati con soldi pubblici, quando i loro servizi non fanno altro che gravare ulteriormente sui contribuenti?

In un Paese che sembra aver perso il senso della misura, è tragicamente semplice: tutto è permesso, finché i costi li paga il cittadino. L’unica soluzione a questo paradosso sarebbe una revisione profonda del sistema, che ponga al centro il cittadino e non le esigenze dei vertici aziendali o dei bilanci gonfiati da commissioni ingiustificate. Se altre nazioni possono farlo, perché l’Italia non può seguire lo stesso esempio?