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Migranti in Albania, la Corte europea censura i piani dell’Italia. Cosa dice la sentenza Ue e perché è un problema per il governo

Una sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea rischia di mandare all’aria il piano dell’Italia, quello che intende portare in Albania i migranti intercettati nel Mediterraneo per sottoporli alle cosiddette procedure accelerate in frontiera per l’esame delle domande d’asilo. In base alla legge con cui il Parlamento ha ratificato il protocollo siglato con Tirana, nei centri albanesi sotto giurisdizione italiana saranno condotti solo cittadini provenienti da Paesi d’origine designati come sicuri. Ai fini dell’esame delle domande di protezione internazionale, la normativa europea prevede che gli Stati membri possano stilare una lista di tali Paesi, quella che l’Italia ha aggiornato lo scorso 7 maggio con un decreto interministeriale. E proprio qui sta il problema. Perché la maggior parte dei Paesi che il governo italiano considera “sicuri” vedono l’esclusione di determinate aree o categorie di persone per le quali, mette nero su bianco il ministero degli Esteri, quei Paesi tanto sicuri non sono. Oggi la Corte Ue dice che non si può fare, che un Paese è sicuro per tutti o non lo è per nessuno. Chiarendo come debba essere interpretato l’articolo 37 della direttiva europea 2013/32 che regola la materia, e censurando di fatto la possibilità di trattenere, ai fini delle procedure accelerate, chi proviene da Paesi parzialmente sicuri, in Italia come in Albania.

Dopo una serie di ritardi che hanno rinviato l’apertura dei due centri in Albania, prevista inizialmente per il maggio scorso, il governo ha assicurato che l’inaugurazione avverrà entro ottobre. Il centro di Gjader, che inizialmente potrà ospitare circa 800 persone, sarà dedicato alla cosiddetta procedura accelerata per l’esame delle domande d’asilo. Il trattenimento nel centro, dice la legge, deve essere convalidato entro 48 ore da un giudice, come già avviene in Italia con tanto di polemiche per le mancate convalide dei magistrati di Catania. Alle procedure, che rispetto a quelle ordinarie prevedono tempi ridotti e minori garanzie per il richiedente, potranno accedere solo uomini adulti originari dai Paesi “sicuri”. Oltre ad Albania, Algeria, Bosnia-Erzegovina, Capo Verde, Costa d’Avorio, Gambia, Georgia, Ghana, Kosovo, Macedonia del Nord, Marocco, Montenegro, Nigeria, Senegal, Serbia, e Tunisia, il governo Meloni ha inserito quest’anno anche Bangladesh, Sri Lanka, Camerun ed Egitto, da cui provengono molti migranti che attraversano il Mediterraneo, ma anche Colombia e Perù. Secondo la direttiva europea 32/2013, “un paese è considerato paese di origine sicuro se, sulla base dello status giuridico, dell’applicazione della legge all’interno di un sistema democratico e della situazione politica generale, si può dimostrare che non ci sono generalmente e costantemente persecuzioni, né tortura o altre forme di pena o trattamento disumano o degradante, né pericolo a causa di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”.

Tuttavia, come avviene anche in altri Stati Ue, il governo italiano ha designato come sicuri anche Paesi per i quali ha escluso alcune aree o categorie di persone. Le ragioni sono contenute nelle “schede paese” allegate al decreto interministeriale che designa i Paesi sicuri. Per la Tunisia, i cui cittadini sono al terzo posto per numero di sbarchi nel 2024, alla voce “eventuali eccezioni per parti del territorio o per categorie di persone” si legge: “Comunità LGBTQI+“. Perché, spiega la scheda preparata dalla Farnesina, “l’art. 230 del Codice penale sanziona rapporti omossessuali consensuali con tre anni di reclusione”. Sempre leggendo le schede dei Paesi da cui parte chi prende la rotta del Mediterraneo centrale, e quindi le persone che l’Italia vorrebbe portare nei centri in Albania, in quella dell’Egitto si scopre che il Paese non può considerarsi sicuro per “per gli oppositori politici, i dissidenti, gli attivisti e i difensori dei diritti umani o per coloro che possano ricadere nei motivi di persecuzione di cui all’articolo 8, comma 1, lettera e) del Decreto Legislativo 19 novembre 2007, n. 251″. Il Bangladesh: “Comunità LGBTQI+, vittime di violenza di genere, incluse le mutilazioni genitali femminili, minoranze etniche e religiose, persone accusate di crimini di natura politica e ai condannati a morte. Si segnala anche il crescente fenomeno degli sfollati “climatici”, costretti ad abbandonare le proprie case a seguito di eventi climatici estremi”. Insomma, ad esclusione dei siriani, il cui Paese già non rientra nella lista del governo, tre dei quattro principali Paesi di origine dei migranti che attraversano il mare sono considerati “sicuri” in modo parziale.

La prassi di escludere aree o categorie era contemplata dalla direttiva europea 85 del 2005, che però è stata abrogata dalla direttiva 32 del 2013, quella che attualmente regola la materia. Pronunciandosi sul ricorso di un cittadino moldavo che aveva chiesto protezione internazionale in Repubblica Ceca, la Corte di giustizia Ue ha chiarito come la direttiva va interpretata. Le autorità ceche avevano respinto la richiesta del cittadino moldavo tenendo conto, in particolare, del fatto che la Moldavia, ad eccezione della Transnistria, era stata designata paese di origine sicuro. I giudici di Lussemburgo hanno dichiarato che il diritto dell’Unione impedisce che uno Stato membro designi un Paese terzo come paese di origine sicuro soltanto per una parte del suo territorio. Contro ogni ulteriore dubbio, la Corte cita il legislatore europeo che, abrogando la precedente direttiva, si pronunciò espressamente contro designazioni parziali e proprio per evitare l’abuso dell’esame accelerato delle domande d’asilo. “Interpretare l’articolo 37 della direttiva 2013/32 nel senso che consente ai paesi terzi di essere designati come paesi di origine sicuri, ad eccezione di alcune parti del loro territorio, avrebbe l’effetto di ampliare l’ambito di applicazione di questo particolare esame. Una siffatta interpretazione, non trovando alcun sostegno nella formulazione di questo articolo 37 né, più in generale, in questa direttiva, misconoscerebbe l’interpretazione restrittiva a cui devono essere sottoposte le disposizioni aventi carattere derogatorio”. Dunque, “è necessario che le condizioni materiali di tale designazione (dei Paesi di origine sicuri, ndr) siano soddisfatte per l’intero territorio del paese terzo interessato”. Lo stesso deve dirsi per l’esclusione di categorie di persone, contemplata nel 2005 e abrogata nel 2013 dallo stesso articolo 37 che, spiega oggi la Corte, non ammette interpretazioni estensive.

Non solo. La Corte ha stabilito che il giudice nazionale chiamato a verificare la legittimità di un atto amministrativo in materia di protezione internazionale, com’è il trattenimento ai fini delle procedure accelerate in frontiera, ha l’obbligo di rilevare d’ufficio una violazione delle norme del diritto dell’Unione relative alla designazione di Paesi di origine sicuri. Una formula che legittima una volta per tutte il lavoro svolto anche dai giudici del Tribunale di Catania, vessati dal governo e dalla maggioranza per non aver convalidato il trattenimento per le procedure accelerate nel centro ragusano di Pozzallo. Non a caso, tra le ordinanze più recenti di Catania ce n’è una che solleva proprio la questione della designazione dei Paesi sicuri in merito al caso di un cittadino egiziano, e richiama due rinvii pregiudiziali pendenti presso la Corte di giustizia: quello del Tribunale di Firenze e quello del Tribunale di Brno (Repubblica ceca) sul quale i giudici europei si sono appena espressi. Insomma, i magistrati competenti, che nel caso dei trattenimenti in Albania saranno quelli del Tribunale di Roma, dovranno applicare la direttiva europea nel modo in cui la Corte ha stabilito. La Questura chiede la convalida del trattenimento di un cittadino tunisino per l’esame accelerato della sua domanda? Secondo i giudici europei, il giudice italiano non potrà che negarla, perché la Tunisia non può essere considerata Paese sicuro visto che non lo è per una parte dei suoi cittadini. Così per gli egiziani come per altri. Se l’Italia deciderà di portarli nei centri che sta ultimando in Albania, con tutta probabilità sarà costretta a imbarcarli nuovamente e portarli in Italia dove le loro domande verranno esaminate con procedura ordinaria e senza poterli trattenere. Certo, il governo obietterà che la nuova normativa del Patto migrazione e asilo approvata quest’anno dal Parlamento Ue contempla nuovamente la possibilità della designazione parziale, ma la formula è diversa e, secondo la Corte Ue, imporrà agli Stati membri una revisione delle designazioni. In ogni caso se ne riparlerà quando la riforma sarà operativa, nel giugno 2026. Fino ad allora, vale quanto detto oggi dai giudici Ue.