Giustizia & Impunità

Pezzi di Boeing 787 fabbricati in Puglia non conformi e poco sicuri. A Brindisi chiuse le indagini su 7 persone e due società

Quasi 5mila componenti in titanio e oltre mille in alluminio non conformi, al punto che sul lungo periodo avrebbero potuto “creare danno alla sicurezza” di aerei Boeing 787 Dreamliner. È il centro dell’inchiesta della Procura di Brindisi su una fornitura non a norma di due società aerospaziali di Brindisi venduta a Leonardo-Aerostrutture per la produzione […]

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Quasi 5mila componenti in titanio e oltre mille in alluminio non conformi, al punto che sul lungo periodo avrebbero potuto “creare danno alla sicurezza” di aerei Boeing 787 Dreamliner. È il centro dell’inchiesta della Procura di Brindisi su una fornitura non a norma di due società aerospaziali di Brindisi venduta a Leonardo-Aerostrutture per la produzione della compagnia statunitense.

Il pm Giuseppe De Nozza ora ha chiuso le indagini: sotto inchiesta ci sono 7 persone e due società. Secondo quanto riferisce la Procura brindisina le parti aeree prodotte avevano “caratteristiche di resistenza statica e allo stress notevolmente inferiori, con riflessi sulla sicurezza del trasporto”. Per la realizzazione di componentistica anche strutturale dei velivoli, sarebbe stato impiegato titanio puro, invece di lega di titanio, e anche le leghe di alluminio utilizzate erano difformi dalle previste.

Gli inquirenti contestano l’associazione per delinquere finalizzata alla commissione di reati che vanno dall’attentato alla sicurezza dei trasporti, all’inquinamento ambientale, alla frode in commercio. L’inchiesta è stata avviata dopo una precedente indagine conclusasi nel 2021, che aveva portato al sequestro dei compendi aziendali delle due società per fatti di bancarotta, a tre arresti e alla denuncia di altri quattro indagati. Le indagini sono state condotte dalla squadra mobile di Brindisi e dalla Guardia di finanza.

Le indagini hanno portato al sequestro di circa 6mila parti di aeroplano per i successivi esami qualitativi, realizzate – secondo le indagini – in materiale diverso da quanto previsto dalle specifiche di progetto. Le consulenze disposte dalla Procura e svolte da tecnici specializzati nel settore aerospaziale hanno certificato – è scritto in una nota dei pm brindisini – la non conformità di almeno 4.829 componenti realizzate in titanio e di almeno 1.158 componenti di alluminio.

Le perizie e le indagini, condotte anche con rogatoria internazionale negli Stati Uniti, si sono concluse accertando che alcuni componenti strutturali non conformi potessero, sul lungo periodo, creare danno alla sicurezza dei velivoli, imponendo alla compagnia americana l’avvio di una campagna straordinaria di manutenzione degli aeromobili coinvolti.

In questo filone investigativo viene contestata la commissione di reati di attentato alla sicurezza dei trasporti e frode in commercio, in forma associativa, da parte di amministratori – di fatto e di diritto – di due società brindisine attive nel settore aerospaziale, ai danni della Leonardo e dell’americana Boeing, aziende leader mondiali nella produzione di aeromobili per scopi civili e militari.

Quanto all’inquinamento gli inquirenti contestano lo sversamento di rifiuti pericolosi in cisterne ed in alcuni terreni della zona industriale della città pugliese che avrebbero contaminato suolo e sottosuolo di sostanze inquinanti e nocive tra cui cromo, rame, zinco, arsenico e piombo. Le sostanze inquinanti, secondo l’accusa, derivano dai processi chimici di trattamento delle superfici e dalla lavorazione meccanica dei metalli. Nel corso delle indagini sono state sequestrate 35 cisterne contenenti ciascuna mille litri di rifiuti speciali pericolosi.

Gli indagati avrebbero prima rimosso una parte del muro di cinta tra le aree di proprietà, per poi svuotare nel terreno di altri privati e nei pozzetti di drenaggio delle acque meteoriche, il contenuto di diverse cisterne con le sostanze pericolose. Da una consulenza tecnica disposta dalla Procura, è emerso che l’inquinamento “aveva interessato il terreno sino alla profondità di tre metri, in concentrazioni largamente superiori ai limiti, previsti dalla normativa per le zone industriali”.