La Sezione di Belluno ha segnalato recentemente alla Soprintendenza ABAP di Belluno, Padova e Treviso l’incongruenza di aver approvato un progetto di edificazione di vari edifici nel parcheggio dell’ex stazione di Cortina d’Ampezzo, infischiandosene del vincolo di interesse culturale decretato nel 2013. In quell’occasione l’Associazione ha inviato una dettagliata relazione tecnica (che alleghiamo) redatta dalla presidente nazionale Antonella Caroli negli anni passati. Una vicenda che Andrea Grigoletto, Heritage Analyst veneto, ricostruisce per il blog nel seguente articolo.

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di Andrea Grigoletto

Quando si parla di Cortina d’Ampezzo, in questi ultimi tempi, il pensiero corre subito alle Olimpiadi invernali del 2026 e alle opere a queste collegate. Una delle più importanti trasformazioni urbanistiche e paesaggistiche, però, che l’attende nei prossimi anni è la scomparsa del grande Piazzale della Stazione. Non dobbiamo farci ingannare dal termine “Piazzale”, che potrebbe far pensare a un vuoto urbano senza arte né parte. Si tratta in realtà di un ben preciso spazio storico che trova le sue origini nella Grande Guerra, evento “fondativo” per l’identità della città ampezzana, in quanto segna il suo passaggio dall’Impero Asburgico al nostro Paese, fin dai primi eventi bellici del 1915.

La strada ferrata a Cortina d’Ampezzo, che si inerpica fino ai 1530 metri di altitudine di Cimabanche, risalente proprio al periodo della Grande Guerra, venne realizzata per esigenze difensive dai genieri militari, austriaci e italiani. Con l’avvento della pace, si decise di destinarla al trasporto dei passeggeri, anche allo scopo di promuovere l’economia turistica della montagna. A fianco dei binari cominciarono a sorgere tutta una serie di stazioni e caselli a servizio dei viaggiatori, per l’intera tratta della ferrovia da Dobbiaco a Calalzo (dove a sua volta dipartiva la linea per Venezia). Il complesso monumentale dell’ex stazione di Cortina fa parte di questa rete e si distingue per essere il “cuore” del sistema, con tutta una serie di edifici in stile eclettico destinati ad ospitare i passeggeri, gli uffici, i depositi e le officine, con il fronte dell’edificio principale con caratteristiche addirittura da “casa delle fate”.

La stazione di Cortina d’Ampezzo e l’intera Ferrovia delle Dolomiti (questo il nome del sistema) venne dismessa nel 1964, tuttavia nel corso degli anni il centro abitato e gli edifici non hanno mai occupato il sedime ferroviario e un vasto parcheggio per auto e autocorriere prese il posto dei binari (il Piazzale). Nel 2013 l’intero complesso monumentale (edifici e piazzale) viene dichiarato di interesse culturale, con decreto dell’allora Direttore Regionale per i beni culturali, Ugo Soragni.

Il sacrificio del piazzale sull’altare dello sviluppo immobiliare è motivato dall’urgenza di mettere a reddito quasi 2 ettari di terreno inedificato nel centro storico di una città dove i valori delle case diventano di giorno in giorno sempre più stratosferici Per cui, d’intesa con la locale Soprintendenza, il Comune di Cortina, che nel frattempo era divenuto proprietario dell’area, nel 2020 decide di avviare un partenariato pubblico-privato per l’edificazione del Piazzale, allo scopo di allocarvi fabbricati con destinazioni d’uso varie.

Tralasciando l’analisi della lungimiranza degli amministratori locali venete nella gestione del territorio, concentriamoci un momento sui comportamenti amministrativi della locale Soprintendenza. Cosa significa autorizzare costruzioni ex novo sopra un’area scoperta vincolata? Significa di fatto rimuovere quel vincolo, perché ad un complesso monumentale fatto di vuoti e di pieni, viene sostituito un nuovo oggetto architettonico tutto pieno, che nulla ha a che vedere con l’aspetto storico esteriore dei luoghi. È un po’ come se a Pisa si decidesse di costruire nel Campo dei Miracoli: si andrebbe ad intaccare tutta l’autenticità e l’integrità del complesso monumentale rappresentato da torre pendente, Duomo, Battistero e Camposanto.

Si dirà che ci troviamo di fronte ad una semplice stazione ferroviaria ma vale la pena ricordare che ci sono stazioni ferroviarie che sono diventate vere e proprie icone architettoniche, come il Grand Central Terminal di New York, la stazione di Atocha a Madrid o la Gare du Nord a Parigi. Una stazione è stata pure proclamata sito Unesco: il Chhatrapati Shivaji Terminus di Mumbai. Non vanno sottovalutate e sminuite, quindi, queste architetture, che solo ad un osservatore distratto possono apparire minori, quando in realtà sono l’espressione di una precisa identità dei territori.

Il punto centrale della questione tuttavia è un altro. Si è visto che il vincolo della stazione di Cortina promanava dell’allora Direttore Regionale per i beni culturali Ugo Soragni. I direttori regionali, come sappiamo, non esistono più, e sono stati sostituiti, nella competenza ad apporre e rimuovere i vincoli e ad autorizzare le demolizioni dei beni culturali, dalle Commissioni Regionali per il Patrimonio Culturale (COREPACU). Questo è avvenuto con la riforma Franceschini del 2014 (DPCM n. 171/2014) e confermato dalla riforma Sangiuliano di quest’anno (DPCM n. 57/2024). Può allora una Soprintendenza, con atti che formalmente sono solo delle semplici autorizzazioni ad effettuare lavori, autorizzare la rimozione di un vincolo monumentale apposto da un organo superiore? Sulla rimozione del vincolo non doveva pronunciarsi la COREPACU del Veneto? Non ci troviamo di fronte, forse, ad un macroscopico caso di incompetenza?

Da ultimo una riflessione sugli aspetti della vicenda legati alla mobilità. Molte delle opere che si stanno realizzando per le Olimpiadi invernali del 2026, alcune delle quali erano previste addirittura per i Mondiali di Sci del 2021, hanno lo scopo di incentivare la fruizione automobilistica della montagna: tangenziale di Cortina, tangenziale di San Vito, Variante di Tai, tangenziale di Longarone, parcheggio della funivia Apollonio-Socrepes, ecc. In un’ottica di mobilità green e di sostenibilità ambientale, ha un senso tutto ciò? O non sarebbe stato più efficace sotto il profilo ecologico ripristinare (ovviamente con gli opportuni adattamenti di tracciato) la Ferrovia delle Dolomiti chiusa nel 1964?

Ricordo che financo il Presidente della Repubblica Gronchi si recò a inaugurare le Olimpiadi invernali del 1956 in treno, lasciando l’auto a Calalzo. E come non ricordare Zermatt, una fra le più rinomate località turistiche della Svizzera, dove da tempo è bandito l’ingresso alle auto e ospiti e residenti possono accedervi solo tramite ferro. In Italia, invece, sembra che i decisori pubblici siano animati solo da intenti di obliterazione della memoria collettiva, accompagnati dalla promozione di forme di mobilità del secolo scorso. Un bel binomio! Non c’è che dire.

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