Crime

“Mancano agli atti intercettazioni inquietanti”: parla l’avvocato della famiglia di Cristina Golinucci

Barbara Iannuccelli spiega a FqMagazine che non ha intenzione di arrendersi

Un altro fascicolo sulla misteriosa scomparsa e sul presunto omicidio di Cristina Golinucci è stato archiviato. Così ha deciso il Gip del tribunale di Forlì Massimo De Paoli che ha disposto la chiusura delle indagini aperte nell’aprile del 2022 per omicidio e a carico di ignoti, su richiesta della Procura. Si tratta della decima volta che il caso della 21enne di Cesena scomparsa il primo settembre del 1992 viene riaperto e archiviato. Pochi giorni fa, c’era stata l’udienza in cui si era discussa l’opposizione della madre di Cristina, la madre Marisa Degli Angeli, assistita dall’avvocato Barbara Iannuccelli. “Fermo restando – sottolinea il Gip – che in caso di elementi di novità l’indagine ben potrà essere riavviata, senza pregiudizio per le parti coinvolte”.

La scomparsa

Cristina Golinucci andò via da casa alle 13,55 quel giorno di fine estate perché aveva un appuntamento al convento dei Cappuccini con la sua guida spirituale, Padre Lino. Quando erano ormai le 19, la madre di Cristina, Marisa Degli Angeli, andò a bussare alle porte del convento, preoccupata di non veder rientrare sua figlia che aspettava per i preparativi per la festa del paese. Quando Marisa salì su ai Cappuccini l’auto di Cristina, una Fiat 500 azzurra, era ancora nel parcheggio. Un frate le disse che quando era arrivato, alle 15, era già lì. Padre Lino le disse che non l’aveva vista arrivare. Da quel giorno, si è persa ogni traccia della ragazza che si era appena diplomata come ragioniera. Quella stessa estate aveva avuto un’esperienza come guida in un campo estivo e forse avrebbe voluto condividere quel momento con il suo padre spirituale.

Il ruolo di Emanuel Boke

Tra le ultime indagini è venuto fuori di nuovo quel nome: Emanuel Boke, sospettato in passato di un coinvolgimento nella scomparsa di Cristina. Giunto in Italia nel ’92, Boke venne accolto come rifugiato politico e ospitato dal convento da cui scomparve la ragazza. Nel ’95, l’uomo avrebbe confessato di aver ucciso Cristina a Padre Lino che andò a trovarlo in carcere dove stava scontando la pena per un altro crimine, lo stupro di una ragazzina. Questo almeno dichiarò il frate che però è deceduto da tempo ormai. Un anno dopo la presunta confessione, davanti alle autorità, Boke negò di aver mai detto ciò. Si dice che Boke possa essere in Francia adesso. Sono state svolte ricerche in Francia e sono in corso comparazioni delle impronte digitali con un’altra persona, ricercata per reati sessuali e che potrebbe essere lui. Ma questa persona risulta irreperibile in Francia: è quindi impossibile, secondo il Gip, procedere ad una sua audizione.

L’ultima testimonianza

Non hanno portato ad esiti neppure le recenti segnalazioni arrivate alla famiglia. Parliamo della donna che ha riferito di recente che l’anziano padre, in zona Mercato Saraceno, all’epoca della scomparsa vide arrivare un’auto guidata da un frate accompagnato da una giovane ragazza: l’anziano non ha riconosciuto in foto Cristina Golinucci. Non ha portato a nulla nemmeno il racconto di un amico di questo anziano signore che all’epoca gli riferì di aver visto, nella stessa zona, dei sacchi neri che emanavano un odore sgradevole, sempre stando quanto riferito dalla figlia dell’anziano alla famiglia di Cristina. Non è stato possibile fare nessun accertamento in quella zona indicata, a causa di una frana legata all’alluvione 2023. “All’epoca era consuetudine, osserva il Gip, gettare resti di animali nei boschi ed era questo il motivo per cui chi vide la scena, forse, non vi diede peso” e quindi non segnalò la cosa alle forze dell’ordine. Ma la famiglia di Cristina, la madre Marisa Degli Angeli assistita dall’ avvocato Barbara Iannuccelli, non si arrende.

Le rivelazioni dell’avvocato

Spiega la Iannuccelli a FqMagazine: “Il vaso di Pandora è stato aperto. Sono emerse cose incredibili che riguardano un cesenate addentrato nell’ambiente ecclesiastico, che fu già attenzionato nel 2010. Nei suoi confronti però le indagini sono partite solo nel 2022. Quando due anni fa, ho richiesto di riaprire il caso tramite un’istanza, ho segnalato la necessità di acquisire dagli archivi delle forze dell’ordine degli atti su quest’uomo che non risultano dalle indagini, si tratta di relazioni importanti. Questi atti non sono stati mai trasmessi alla Procura o sono stati sottratti dai fascicoli. Su questo cesenate sono emerse delle intercettazioni importanti ma il nostro sistema giudiziario necessita di prove in grado di iscriverlo nel registro degli indagati. Quelle intercettazioni sono però significative e inquietanti”.

La frase cambiata e l’alibi di Boke

Il caso è stato riaperto anche a una nuova trascrizione fatta su richiesta dei familiari, a cura, del professor Giampiero Benedetti, del colloquio avvenuto in carcere tra Emanuel Boke e Padre Lino. C’è una frase che nel ’95 fu tradotta da un maresciallo che svolse la perizia come: “Non mi sembri mica tanto convinto”. Il perito Benedetti l’ha invece tradotta come “Ma tu non eri mica in convento”. Questa nuova frase fa trasalire perché fa crollare l’alibi di ferro di Boke, arrivato a Cesena in convento nel ’92 nell’ambito di un progetto di accoglienza per ragazzi extra comunitari. “Era il solo ad avere la chiave del convento, usciva di notte per andare in riviera romagnola a divertirsi, guidava l’auto di padre Lino senza auto”, racconta oggi l’avvocato Iannicelli.

Il mistero delle impronte digitali

Boke all’esito di questa ultima indagine viene individuato in una persona dal nome diverso, ma con le stesse impronte digitali. Queste impronte appartengono a una persona che nel 1998 è arrivata in Francia per vie illegali, proprio quando Boke uscì dal carcere; corrispondono a un uomo che fu poi anche espulso dalla Francia, sette anni dopo, perché sempre nel ‘98, rapinò e violentò una ragazza per cui fu incarcerato e poi cacciato dal Paese. Continua l’avvocato della famiglia di Cristina, Barbara Iannuccelli: “Quest’archiviazione non ci sorprende perché ci siamo resi conto del raggio limitato di questa Procura che non ha richiesto la copia della condanna in Francia di Boke che adesso ha un altro nome. Il concetto di irreperibilità utilizzato dalla procura per archiviare questo caso è piuttosto fatuo. Non è detto che Boke non sia più in Francia. Ti dicono che devi tornare a casa, quando ti espellono, ma nessuno poi controlla che accada davvero. Non è che non ci arrendiamo, non ci siamo mai arresi. La ricerca del corpo di Cristina e del suo assassino continua”.