Le frontiere esistono dapprima nelle nostre teste. Da lì passano a governare i confini dei territori delle nazioni. Linee, puntini, muri, fili spinati, campi minati, documenti, fiumi, mari e deserti arruolati da chi prevale nei rapporti di forza del momento. Provate a lasciare Niamey, la capitale, raggiungete Dosso e poi arrivate al confine con la Repubblica del Benin, la città di Gaya. Da più di un anno, cioè dall’atipico colpo di stato di luglio, il ponte che attraversa il fiume Niger è chiuso al traffico. Sono le vecchie, antiche e sempre attuali piroghe che permettono il passaggio di decine di passeggeri da ambo le parti. Per passare si sommano le tasse dei doganieri, marinai, gendarmi, militari, consiglieri e trasportatori di mercanzie che i viaggiatori sono tenuti a sborsare per accedere dall’altra parte della frontiera. Le frontiere sono invenzioni che, prese sul serio, possono delimitare la mobilità dei poveri.
Per Benedict Anderson, storico e politologo sino-irlandese, le nazioni non sono altro che delle comunità politiche ‘immaginate’, limitate e sovrane. Questo perché solo una parte delle persone della ‘nazione’ potranno conoscersi fisicamente. Perché la nazione esista, con maggiore o minore fortuna, bisognerà inventarsi un futuro comune di cui il passato sembra portare le premesse. Stesso territorio, ideali, lingua, cultura e soprattutto un destino comune, differente dagli altri. Ben delimitato e orchestrato da valori, ideali e uno spirito che si apparenta all’assoluto. La nazione ‘immaginata’ può inventarsi nel nazionalismo che fa della popolo come tale una quasi-religione. Per la nazione, la ‘Patria’ (dal latino ‘Pater’, padre) si può e deve dare la vita, se necessario. I cimiteri e le guerre che li hanno confezionati nella storia umana ne sono una metafora e un monito perenne.
Le frontiere esistono dapprima nelle nostre teste, poi si disegnano e nascono con gli stati che delle nazioni dovrebbe essere l’espressione. Naturalmente ciò è complicato perché la realtà è multiforme e difficilmente si lascia ingabbiare da concetti. Tra nazioni, stati e frontiere c’è connivenza. Uno dei frutti della loro unione sono le guerre che, come sottolineato sopra, costituiscono una delle dominanti dei nazionalismi che si avvalgono dello stato per armarsi, difendersi o creare effimeri imperi. Tutto ciò appare come un’invenzione occidentale esportata di forza o di diritto altrove dove comunque esistevano forme di struttura sociale, politica, economica e militare. Altrove, infatti, le frontiere esistevano ma forse interpretate altrimenti. Etniche, linguistiche, religiose o semplicemente di fatto e più permeabili perché i muri, così come i campi di concentramento e detenzione, sono dello stato nazionalista una delle manifestazioni più emblematiche e conseguenti.
Il nazionalismo sottolinea in particolare un’identità e un destino comune, sufficientemente inventati anch’essi, per arruolare quanta più gente al proprio progetto egemonico. Il consumo locale, la patria e la sua salvaguardia e soprattutto il sovranismo, entità poco definibile al di fuori delle frontiere tracciate dalla ideologie, diventano altrettanti parole d’ordine per la gestione del Paese o dello spazio che le frontiere delimitano. I cittadini saranno col tempo selezionati tra obbedienti, recalcitranti, militanti o refrattari da rieducare. Nell’Unione Sovietica dell’epoca staliniana si utilizzarono gli ospedali psichiatrici per i dissidenti che non ‘aderivano al progetto rivoluzionario della lotta proletaria per il comunismo’. Dalle nostre parti non siamo ancora così sofisticati e sono sufficienti le sparizioni e le autocensure di chi teme di pensare differentemente l’appartenenza ad un popolo.
Le frontiere esistono dapprima nelle nostre teste. Poi si organizzano all’esterno e all’interno della nazione e dello stato. Per classi sociali, per i figli che studiano nel Paese e altri che vanno all’estero, per chi si cura sul posto e chi ha i mezzi per cliniche private altrove, per chi avrà un futuro nel sistema e chi ne sarà per sempre estromesso. Da cittadini, depositari cioè di diritti e doveri riconosciuti si dovrebbe diventare, secondo le testuali parole della autorità del momento, poliziotti, gendarmi, guardie o, in una parola, soldati. Tutto ciò contribuirà a creare nuove e inedite frontiere nella Regione.
C’è chi sogna, tuttavia, che le frontiere diventino ponti e i ponti frontiere, cominciando da Gaya.