Cultura

“Non ti ipnotizza, stimola la fantasia, è il teatro della mente”: la radio italiana compie cent’anni. Altro che tv e web: ecco perché resta immortale

Il 6 ottobre 1924 la prima trasmissione di un mezzo sempre dato per spacciato (prima con la tv, poi con internet) eppure sempre tra noi, in casa, al lavoro, in auto, sugli smartphone. Umberto Broccoli, storico autore della Rai: "Il segreto? Ognuno è il regista e lo scenografo di ciò che ‘vede’ alla radio. E i nuovi mezzi, che in parte hanno ‘drogato’ la televisione, invece si appoggiano alla radio, esaltandola"

Il 28 settembre 2003, alle 3 del mattino, un black out improvviso paralizzò l’Italia. Ci volle l’intera giornata per far tornare la corrente in ogni parte del territorio nazionale. Fu in quell’occasione che anche le giovani generazioni – che avevano conosciuto Internet appena dieci anni prima – apprezzarono l’esistenza di un mezzo che poteva fare a meno della rete elettrica: la radio a batteria. Ciò che qualcuno aveva frettolosamente definito “la vittima sacrificale del web“, in una domenica di inizio autunno si rivelò l’unico strumento di informazione per un’intera nazione che così si salvò dal totale oblio.

In Italia la radio nacque alle 21 del 6 ottobre 1924. Una storia secolare, costellata di tante storie. A cominciare dal fatto che, a 30 anni dalla sua nascita dovette affrontare la spietata e innovativa concorrenza del mezzo televisivo. Lì per lì sembrava spacciata, invece ne uscì più forte di prima. E così è stato anche dopo l’avvento del famigerato “www“, quando la “rete” pareva destinata a fagocitare ogni altro media.

Invece la radio è sempre tra noi, nelle case e nei posti di lavoro, nelle auto e soprattutto negli smartphone, nati come telefoni, poi arricchiti grazie a internet, ma alla fine anch’essi costretti a riconoscere il potere della modulazione di frequenza che la si ascolta anche attraverso questi nostri fratelli-siamesi tecnologici che ci accompagnano ovunque.

Perché tutto questo successo? “Perché la radio è immediata – dice Umberto Broccoli, autore e voce radiofonica sin dal 1977, impegnato in questi giorni in tante occasioni di celebrazione del secolo di vita della radio -. Lo spiegò bene Eugenio Finardi ne La radio, famosa canzone del 1976, quando dice ‘Amo la radio perché arriva dalla gente/entra nelle case e ci parla direttamente’. La chiave di volta sta tutta qui. La radio non occupa il cervello, non ti ipnotizza, ma stimola la fantasia, io la definisco ‘il teatro della mente’ perché se io adesso descrivo una bufera, per esempio con una nave che oscillando, ognuno la vede, ma è la ‘sua’ immagine, quel che vede con la propria mente, quindi ognuno è il regista e lo scenografo di ciò che ‘vede’. In pratica la radio permette a tutti di ‘vedere’ la tempesta, ma ognuno la percepisce in maniera diversa”.

In passato qualcuno ha tentato ardite ibridazioni, tipo la “radiovisione“, ma a parte dei risultati talvolta perfino ridicoli, ci si è accorti che già esisteva, si chiamava televisione e annullava il ricorso alla fantasia che invece la radio presuppone. “Per cui la radio è immortale – prosegue Broccoli-: per quanti sforzi siano stati fatti per ucciderla, la radio è viva e vegeta. E non finirà mai. I nuovi mezzi, che in parte hanno ‘drogato’ la televisione, come i social e i canali tematici, invece si appoggiano alla radio, esaltandola”.

La radio in Italia non ha avuto un percorso lineare: già nel 1924 nasce l’Uri – Unione Radiofonica Italiana – ovvero la prima concessionaria in regime di monopolio. Tre anni dopo l’Eiar (Ente Italiano Audizioni Radiofoniche) subentra all’Uri, accrescendo sia il ruolo dello Stato nel settore, sia l’attenzione alle trasmissioni, il cui controllo viene affidato a un comitato istituito dal ministero delle Comunicazioni.

A parte qualche timido tentativo localizzato, il monopolio radiofonico resta tale fino al 1970 quando grazie al sociologo Danilo Dolci in Sicilia nacque Radio libera di Partinico, comune vicino Palermo, con l’intento di lanciare l’allarme sia sulle difficili condizioni in cui versano le popolazioni del Belice e delle altre valli colpite dal sisma del 1968, sia sull’appropriazione mafiosa e clientelare dei fondi destinati alla ricostruzione. Anche se a distanza, l’esperienza siciliana diede pian piano il via a un lento movimento che puntò alla liberalizzazione della radiofonica italiana, in un clima reso più propizio dai mutati rapporti tra maggioranza (Dc e alleati storici) e opposizione (Pci) in Parlamento, seguiti al “compromesso storico“.

Si giunge così al gennaio 1975 quando iniziò le trasmissioni Radio Parma – la prima emittente privata in Italia, l’esistenza della quale e di tante altre appena nate (nel 1978 erano già oltre 1600), fu riconosciuta, se pur in ambito locale, da una storica sentenza della Corte Costituzionale del luglio 1976. In pochi anni nell’etere italiano si poterono ascoltare tante nuovi voci, ma soprattutto circolarono tante nuove idee che, di fatto, spinsero anche la Rai a rinnovarsi completamente. Anche in questo fatto, la fantasia giocò un ruolo essenziale nello sviluppo del media più transgenerazionale che esista.

Buon compleanno radio! Cento di questi giorni.