Stanno diventando i compagni fedeli di chi vuole avere sempre sotto controllo il proprio stato di salute e monitorare le performance fisiche. Sono deviceswearable – che permettono di monitorare le calorie consumate, l’attività cardiaca, le ore di sonno, i passi eseguiti durante la giornata, e altro ancora.

Una diffusione che pone anche qualche interrogativo. In particolare, sull’affidabilità dei dati che vengono riportati da questi strumenti.

Un dubbio che si sono posti i ricercatori dell’University College Dublin che hanno esaminato le revisioni della letteratura esistente sull’argomento. I risultati sono incoraggianti almeno per alcuni marchi. In particolare, i wearable riescono a misurare il battito cardiaco con un margine d’errore del 3% e a stimare correttamente la capacità cardiorespiratoria durante l’esercizio fisico.

Le criticità emergono quando si guarda ad altri parametri importanti come il dispendio energetico e il sonno. In questi casi gli errori possono arrivare fino al 21% per le calorie bruciate e ancora peggio emerge per la rilevazione delle fasi del sonno con errori del 180% rispetto ai metodi di riferimento utilizzati nei laboratori.

Secondo i ricercatori, un altro problema è la mancanza di standard nelle metodologie di validazione dei vari prodotti, il che rende difficile trarre conclusioni definitive sulla loro accuratezza. E tutto diventa ancora più ingarbugliato a causa della rapida sostituzione di questi dispositivi con altri nuovi modelli che rendono già vecchi i risultati delle ricerche ancora prima di essere pubblicate.

Dalle analisi dei ricercatori di Dublino, qualche esempio su tutti: la frequenza cardiaca, un valore molto importante e delicato. In questo caso, i device di Apple e Garmin mostrano errori più contenuti, mentre i Fitbit tendono a una leggera sottostima. La precisione varia in base all’intensità dell’attività e al tipo di movimento. Per quanto riguarda la variabilità della frequenza cardiaca, i Polar si distinguono per l’accuratezza a riposo, ma la precisione diminuisce durante l’esercizio fisico.

Nel rilevamento delle aritmie, gli smartwatch Apple e Samsung escono vincitori mostrando livelli elevati di sensibilità e specificità.

Un altro esempio riguarda la valutazione dell’accuratezza dei wearable nell’analisi del sonno. In questo caso i ricercatori hanno utilizzato la polisonnografia come metodo di riferimento. Il risultato? Quasi tutti i devices tendono a sovrastimare il tempo totale di sonno e l’efficienza del sonno, mentre sottostimano il tempo di veglia dopo l’inizio del sonno e la latenza di inizio del sonno. I dispositivi Fitbit spesso sovrastimano il tempo totale di sonno di oltre il 10%. Altri wearable mostrano tendenze simili, con sovrastime in molti casi significative. Al contrario, la veglia dopo l’inizio del sonno è sottostimata da vari modelli di smartwatch e tracker.

Il parere dell’esperto

“Questi supporti sono sicuramente utili e in ogni caso rappresentano il futuro per quanto riguarda il monitoraggio delle nostre attività fisiche – spiega al FattoQuotidiano.it il dottor Antonino Lipari, medico chirurgo specializzato in Medicina dello Sport e dell’Esercizio Fisico di Palazzo della Salute – Wellness Clinic -. Va detto che quasi tutti questi dispositivi presentano dei limiti nella misurazione dei parametri vitali come l’Ecg. I dati possono infatti essere influenzati dalle condizioni atmosferiche e dal contatto con la pelle, perché è attraverso la cute che i devices raccolgono la misurazione e la sua composizione stratificata non è identica in tutti i soggetti. Un rischio invece che si può presentare è che una persona che osservi la misurazione del tracciato dell’Ecg si metta a interpretare da solo i dati…”.

Anche in questo caso, è bene non farsi tentare dal fai da te.

“Dovrebbe essere ovvio, ma il confronto con uno specialista, medico o preparatore atletico, è d’obbligo. Interpretare un’alterazione del ritmo del cuore, un’aritmia, è di pertinenza del medico. Ma un altro esempio è la lettura glicemica perché anche in questo caso si possono avere risultati che dipendono da specifici parametri che non si possono conoscere senza avere una preparazione specifica; non solo, questi devices possono sovrastimare o sottostimare alcuni valori per cui questi dati vanno sempre presi come degli indicatori e sottoposti a persone professioniste.

Monitorare costantemente le proprie presentazioni fisiche può produrre anche eccessive ansie o aspettative?

“In effetti un rischio c’è. Ed è sempre collegato alla precisione degli strumenti che utilizziamo e all’interpretazione che diamo ai dati che emergono. Si può infatti creare una sorta di iper autostima pensando di esser a un certo livello o, peggio ancora, di sottostimare in quel momento la mia prestazione e quindi di incrementare la frustrazione per il lavoro fatto che non ha portato i suoi frutti”.

Insomma, stando allo studio, affidarsi a marchi più quotati è la migliore scelta per tante ragioni.

“Sicuramente vale il detto ‘più spendo meno spendo’. Per carità, si può anche cercare il miglior rapporto qualità/prezzo. Però in questo caso è meglio affidarsi a quei due-tre marchi che producono devices interessanti e più precisi, lasciando perdere i prodotti troppo economici. C’è però un ultimo aspetto da considerare”.

Quale?

“Il problema della privacy. Non dimentichiamo che questi device acquisiscono dati sanitari personali ed è quindi fondamentale che rimangano protetti. Questi dispositivi comunicano via bluetooth, ed è bene avere garanzie che i nostri dati sensibili non vengano utilizzati per altri scopi diversi da quelli per cui sono stati prodotti. Bisogna da un lato difendere il valore dei devices perché aiutano a monitorare la salute e promuovono l’indipendenza, ma ricordiamo che c’è ancora un’invasione della privacy che ne consegue per ottenere informazioni. Ciò è dovuto alle enormi quantità di dati che devono essere trasferiti, il che potrebbe sollevare problemi sia per l’utente che per le aziende se una terza parte ottiene l’accesso a questi dati”.

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