L’invasione del Libano da parte di Israele e la reazione del composito mondo libanese agli appelli di Netanyahu, che vuole mostrarsi come un liberatore; il “senso comune” che sta dietro l’operato del primo ministro israeliano, figlio della radicalizzazione religiosa; infine una domanda a cui nessun israeliano, né palestinese può sottrarsi a un anno dal 7 ottobre 2023: siamo più sicuri? Gad Lerner, ospite dell’ultima puntata di Accordi&Disaccordi, ha ragionato di tutto questo con il conduttore Luca Sommi arrivando a una conclusione: no, non siamo più sicuri. non lo sono gli israeliani e non lo sono i palestinesi, che “hanno vissuto l’anno più terribile della loro storia”.
Senti tu come definisci l’azione dell’esercito israeliano in Libano?
Un tentativo di rivincita spettacolare di cui il gruppo dirigente israeliano aveva molto, molto bisogno prima dell’anniversario del 7 ottobre, che ha rivelato quella drammatica vulnerabilità di una leadership, che invece garantiva agli israeliani la sicurezza.
Il Libano, però, non è tutto Hezbollah. C’è anche una parte di libanesi che vedono Hezbollah come un oppressore. Sbaglio?
È molto difficile ragionare sul mosaico libanese, il Paese in cui sono nato e non credo però che queste persone laiche, queste persone che non amano gli Hezbollah, siano grati a Israele per quello che sta facendo. Lo dico anche pensando all’Iran. C’è una forte opposizione al regime degli ayatollah, persone che noi ammiriamo, le donne giovani in prima linea, ma se pensiamo che loro vedrebbero con favore un intervento degli occidentali, ci sbagliamo di grosso.
Non è una liberazione.
No, no, no. È un mondo che va rispettato nella sua complessità, che non vuole semplicemente riprodurre il modello occidentale. Il mondo occidentale si è presentato laggiù sotto forma di colonialismo, ha depredato società raffinate e ricche con una grande storia alle spalle.
In questa trasmissione, la settimana scorsa, Paolo Mieli ha detto l’opposizione di Netanyahu farebbe le stesse cose di Netanyahu, quindi non bisogna parlare di lui, ma bisogna parlare dello Stato d’Israele. Tu cosa ne pensi?
Che c’è una parte di verità in quello che dice Paolo Mieli. Perché non c’è dubbio che dietro al leader più longevo della storia di Israele, che è Netanyahu, c’è un senso comune. C’è la diffusione dell’idea che con i palestinesi non si può convivere. Quindi il fanatismo di tipo religioso e non, è germogliato dentro alla società israeliana esattamente come tra i palestinesi si è diffusa al contrario.
Si può criticare un governo di una democrazia come quella di Israele senza essere tacciati di antisemitismo?
Si può anche dire che la democrazia in Israele è pericolante, che non si può essere democrazia per gli ebrei e nello stesso tempo nei territori occupati praticare l’apartheid, come le strade riservate ai coloni e proibite anche agli altri, di cui si limita la libertà di movimento.
Netanyahu, qualche giorno fa all’Assemblea generale dell’Onu, ha definito quell’organizzazione “una palude di antisemiti e terrapiattisti”. Il segretario generale Guterres è “persona non grata” in Israele. Cosa ha fatto Netanyahu in quest’ultimo anno?
Gli israeliani, se lo chiederanno il 7 ottobre. Siamo più sicuri? Israele oggi è più o meno isolata? La nostra reputazione nel mondo è cresciuta oppure il disonore, le macchie di disonore ci hanno portato addirittura davanti alla Corte penale internazionale? E credo che se lo chiederanno anche i palestinesi, però: questa operazione scatenata dai miliziani di Hamas è stata una riscossa? È stata un’azione di resistenza partigiana che ci ha rafforzati? In palestinesi hanno vissuto l’anno più terribile della loro storia. Non avevano mai avuto tanti morti e tante sofferenze senza che i vicini arabi muovessero un dito.