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Emanuela Orlandi, l’arciprete di Santa Maria Maggiore non risponde sul mistero della cassa: “Non dico nulla su questa storia, sono tutte assurdità” – ESCLUSIVO

Proprio ieri, 6 ottobre 2024 (poche ore dopo la nostra telefonata al prelato), durante l'Angelus in Piazza San Pietro papa Francesco ha annunciato la sua elezione a cardinale

“Non commento nulla, non c’è niente da commentare. Sono assurdità, su questo argomento non dirò nulla. Grazie e buona serata”: con queste esatte parole, l’arcivescovo Rolandas Makrickas ha risposto a FqMagazine, in merito alle dichiarazioni di Monsignor Valentino Miserachs, interrogato pochi giorni fa dalla commissione di inchiesta che indaga sulla misteriosa scomparsa della cittadina vaticana Emanuela Orlandi, avvenuta il 22 giugno del 1983.

Le parole e il ruolo di Miserachs
Monsignor Miserachs ha un duplice ruolo in questa oscura storia. Era il maestro di canto corale di Emanuela Orlandi ed è stato l’ultimo docente ad averla vista nel giorno della scomparsa, nella scuola di musica “Tommaso Ludovico da Victoria” (all’epoca ospitata all’interno di Sant’Apollinare), da cui la ragazza uscì quel pomeriggio, prima di sparire per sempre. Il presbitero spagnolo è anche canonico prelato della Basilica di Santa Maria Maggiore che pure ha un ruolo chiave nella storia della scomparsa di Emanuela. Lo scorso gennaio, durante l’ultimo sit-in per sua sorella, nel giorno della nascita della ragazza, Pietro Orlandi parlò di una cassa con dentro “cose” riguardanti Emanuela, depositata nei sotterranei di Santa Maria Maggiore. Qualche mese dopo, il fratello di Emanuela Orlandi è andato a Santa Maria Maggiore “Insieme alla persona che me l’ha indicata”, disse a noi di FqMagazine, per verificare. Ma sul posto, realizzò che da un anno non è più possibile avere accesso a quella zona perché Santa Maria Maggiore è stata commissariata. Di questa cassa ha parlato anche Miserachs durante la sua audizione. “Sono venuti da me Francesca Chaouqui e Pietro Orlandi, chiedendomi se si poteva reperire questa cassa che la stessa Francesca Chaouqui (uno dei cosiddetti “corvi” di Vatileaks, ndr) diceva di aver consegnato nelle mani di un cardinale. Se c’è questa cassa, io non ho alcuna possibilità di accedere, la basilica è stata commissariata”, ha aggiunto Monsignor Miserachs.

L’arcivescovo Rolandas Makrickas
“Il commissario è un monsignore che sta a Santa Marta. Solo lui ha accesso a quella zona. Mi hanno anche detto che da poco hanno messo tre porte chiuse a chiave prima di accedere a quella zona. Io ho provato a contattare questo commissario, ma non mi ha risposto”, dichiarò Pietro Orlandi pochi mesi fa a FqMagazine. Si tratta di Rolandas Makrickas, lo stesso prelato che non ha voluto rispondere alle nostre domande. Il 20 marzo 2024, ponendo fine al suo ruolo di commissario e ridefinendo il ruolo dei canonici della Basilica, papa Francesco lo ha nominato arciprete di Santa Maria Maggiore. Proprio ieri, 6 ottobre 2024 (poche ore dopo la nostra telefonata al prelato), durante l’Angelus in Piazza San Pietro papa Francesco ha annunciato la sua elezione a cardinale durante il prossimo Concistoro previsto per l’8 dicembre.

Il cardinale Abril
Durante l’audizione in commissione, monsignor Miserachs ha aggiunto altri dettagli importanti sul suo incontro con Pietro Orlandi e Francesca Chaouqui. La Chaouqui nel 2013 fu nominata commissario della Cosea, ente voluto proprio da Francesco per fare luce sui conti del Vaticano. “Lei diceva – le parole di Miserachs – di aver portato una cassa che avevano consegnato al cardinale Santos Abril e che l’avrebbero portata nel sotterraneo dove c’è il cimitero dei canonici. Secondo quanto diceva, l’aveva portata personalmente e deposta nel sotterraneo dove c’è il museo dei canonici”. Il cardinale Santos Abril y Castello, ex arciprete di Santa Maria Maggiore, “Era a conoscenza di questa situazione – disse Pietro Orlandi durante l’ultimo sit-in -. Nel 2014 è uscito fuori che erano stati fatti dei lavori al campo Santo teutonico e avevano scoperto che sotto quelle tombe fu trovata una cassa poi portata al cardinale a Santa Maria Maggiore”.

Papa Ratzinger
“Papa Benedetto voleva fare luce sulla questione”, ha dichiarato Miserachs durante i lavori della commissione. “Non so se oltre me è stato convocato qualcuno però io fui convocato dal capo della Gendarmeria del Vaticano, c’era anche l’assessore della Segreteria di Stato e qualche altro gendarme”. Il Vaticano, per volere di papa Benedetto XVI, lo interrogò sulla scomparsa di Emanuela Orlandi il 4 maggio 2012. Da lì a dieci giorni sarebbe stata aperta la tomba di Enrico De Pedis detto “Renatino”, capo della fazione testaccina della banda della Magliana trucidato nel febbraio del ‘90 in via del Pellegrino. Il suo corpo fu tumulato nella Basilica di Sant’Apollinare, adiacente alla scuola di musica da cui è scomparsa Emanuela. Il procuratore Giancarlo Capaldo che ha indagato a lungo sulla scomparsa di Emanuela, ha dichiarato più volte che proprio nel 2012 incontrò il capo e il vicecapo della gendarmeria vaticana Domenico Giani e Costanzo Alessandrini che gli chiesero la collaborazione della magistratura per aprire la tomba del boss Enrico Pedis, e dissipare eventuali dubbi dell’opinione pubblica sul Vaticano, togliendo la Santa Sede dall’imbarazzo di aver fatto tumulare un criminale in una Basilica.

A concedere il nulla osta nel 1990, per la sepoltura, fu il cardinale Ugo Poletti. Coincidenza piuttosto inquietante: a lui è indirizzata una lettera firmata dall’arcivescovo di Canterbury George Carey in cui si richiede un incontro a Londra per discutere della “situazione di Emanuela Orlandi”. A pochi mesi dall’apertura della tomba, Joseph Ratzinger, eletto nel 2005, dopo la morte di Wojtyla, rinunciò al suo ruolo. Le sue dimissioni vennero ricondotte ai numerosi scandali esplosi durante il suo pontificato e alla fuga di documenti nota come Vatileaks. Nove giorni dopo la sua morte, è stata aperta la prima inchiesta su Emanuela Orlandi dal Vaticano.

Vatileaks 1 e 2
Paolo Gabriele, il maggiordomo del Papa protagonista del processo sul primo Vatileaks, disse a Pietro Orlandi di aver visto un dossier intitolato “Rapporto Emanuela Orlandi” sulla scrivania di Georg Gänswein, allora segretario di Benedetto XVI, ma di non essere riuscito a fotocopiarlo assieme agli altri documenti. Georg Gänswein, segretario particolare di Benedetto VI, aveva ammesso l’esistenza un fascicolo riservato all’avvocato della famiglia Orlandi, Laura Sgrò. Nel 2011, Padre Georg aveva anche dichiarato di voler affidare un’indagine al capo della Gendarmeria vaticana Domenico Giani sulla vicenda di Emanuela. Ha poi negato tutto nel suo libro nel suo libro “Nient’altro che la Verità”, uscito subito dopo la morte di Ratzinger. Nel 2015 venne arrestato anche Monsignor Lucio Angel Vallejo Balda, coinvolto nel secondo Vatileaks, scandalo da cui venne fuori anche un libro di Emiliano Fittipaldi su Emanuela Orlandi, “Gli impostori”. In questo libro vennero pubblicati cinque fogli trovati nella cassetta di sicurezza del Vaticano da Fittipaldi in cui si elencavano tutte le spese sostenute dal Vaticano “per le attività relative alla cittadina Emanuela Orlandi”. Secondo i cinque fogli, Emanuela sarebbe stata trasferita prima a Parma e poi a Londra, in strutture religiose. Queste spese si fermano al 1997, con un terribile “disbrigo per le pratiche finali”. In questo documento si fa riferimento a 160 pagine di allegati. Fu firmato dal presidente dell’Aspa Lorenzo Antonetti, e venne indirizzato al cardinale Giovanni Battista Re, all’epoca ai vertici della Curia.

“Addio, Emanuela”
Nel libro “Addio, Emanuela”, dato alle stampe da Maria Giovanna Maglie pochi mesi prima di morire, la giornalista pubblicò un certificato (dei Servizi spagnoli) di cremazione del corpo di Emanuela Orlandi che pare facesse parte di una cassa. Potrebbe essere la stessa che viene indicata come tumulata nella Basilica di Santa Maria Maggiore? Secondo quanto scritto dalla giornalista Maglie, i servizi segreti stranieri fecero un lavoro di ricerca sulle criticità del Vaticano ed una di queste era la storia di Emanuela. I servizi segreti “deviati” da cui uscì questo documento di cremazione, secondo cui Emanuela morì nel 1997 a Londra, erano di nazionalità spagnola: la stessa di Monsignor Balda, travolto dal secondo Vatileaks. Che Emanuela Orlandi non sia più in vita lo fece intendere anche Papa Francesco quando, a pochi giorni dalla sua elezione, disse a Pietro Orlandi: “Emanuela sta in cielo”. Sembra la spy story di un romanzo poliziesco, mentre purtroppo è solo la tragica storia di una ragazzina come tante, strappata al suo destino solo perché figlia di un messo papale.