Cultura

Il colore degli incubi: Munch ritorna a Milano dopo 40 anni. Un viaggio interiore tra fantasmi, donne-vampiro, paure ancestrali

La monografica a Palazzo Reale (fino al 26 gennaio 2025) spalanca le porte sull’inquieto e inquietante mondo dell'artista norvegese

di Serena Tacchini

Darwin relegò l’essere umano all’animale, Freud dimostrò che gli uomini non hanno potere sulla propria mente, Einstein mise in crisi la nozione di oggettività: la modernizzazione portò il dono di una nuova condizione dell’uomo fatta di solitudine e alienazione. Edvard Munch (1863-1944) si perse nei labirinti della percezione visiva, per ritrovarsi nei desideri sopiti e nelle paure ancestrali, in una cosmologia palpitante di energie invisibili, respiro di una Terra in eterno rinnovamento.

Quando Palazzo Reale ospitò nel 1986 l’antologica su Munch, il simbolista norvegese era ancora poco conosciuto in Italia; quarant’anni dopo torna a Milano con tutti gli onori di uno dei padri fondatori dell’arte moderna: Munch. Il grido interiore sarà visitabile fino al 26 gennaio 2025, per poi proseguire a Roma. Le parole di Munch accompagnano il visitatore attraverso un’autobiografia dell’anima in cento opere dal 1880 alla morte, selezionate dalla studiosa Patricia G. Berman e provenienti dal Museo Munch di Oslo.

Edvard Munch è figlio di un’epoca in cui la comprensione dei sensi da parte della scienza stava cambiando per sempre il modo di guardare e sentire dell’uomo moderno. Nei suoi viaggi in Europa portò con sé il sentimento tragico della vita che pervade come un vento gelido la letteratura scandinava di Ibsen e dell’amico Strindberg. Munch sedette al tavolo dei circoli più all’avanguardia nella Berlino di fine secolo che ne riconobbe il talento; discusse delle novità della neurologia, di psicologia e medicina, di occultismo e psiche; nel fumoso Circolo bohémien di Kristiania (1895) brindò con gli amici all’avvento della nuova “estetica dell’anima”.

Il “grido interiore”, fulcro del titolo italiano della mostra, nella versione inglese della Berman diventa inner fire, fuoco interiore. Munch si autoritrae tra le fiamme del “fuoco della vita” mentre cerca il senso del suo inferno sulla terra: il pubblico è chiamato ad andare oltre il muro degli stereotipi di pittore maledettamente solo, alcolizzato, malato, vittima di quel connubio arte-vita in cui è finita per risolversi la sua produzione. La scelta dell’immagine-guida della mostra testimonia questo cambiamento di visione e restituisce la visione di un genio che ha trovato sollievo al suo male di vivere nell’arte, nella medicina, nel mare. Le ragazze sul ponte (1927) sono l’opera di un pittore che cerca il sole dentro: a fianco di quelle giovani donne Munch guarda la vita scorrere sotto i suoi occhi e aspetta l’istante in cui l’amore e la vita rompano gli argini.

Munch è il vate dell’indistinto in cui sfumano sguardo e memoria: la stanza del sanatorio dove lui stesso chiese di essere curato è infestata dalle anime della sua famiglia dipinte con i colori dell’assenza; le ombre non si nascondono più nella Notte stellata (1922–1924), forme sinistre che si disgiungono dai corpi per vivere d’infelicità propria. Gridano i nazisti “Entartete Kunst!” – arte degenerata! – ma il suo Urlo è ancora più profetico in litografia (1895), privato del colore come della vita; è storia e destino di tutte le invocazioni e le maledizioni di milioni di esseri umani sacrificati sull’altare della croce uncinata. La morte di Marat (1907) avviene su un letto, l’inconfondibile braccio inerte, si carica di un erotismo stralunato: sanguina la mano di Munch-Marat, ferita da una pistola durante l’ennesimo litigio con la fidanzata Tulla. Al ricordo di quella lite si sovrappongono fantasie di mutilazione e delitto, in un immaginario infestato da donne-vampiro dai lunghi capelli rossi che si avvinghiano al cuore degli uomini. La Malinconia (1900-1901) è la compagna di vita che gli siede accanto e lo annega nei suoi occhi neri come l’abisso; nell’indifferenza dei passanti, non ha voce la Disperazione (1894), prigioniera della propria finitezza umana. Nella Danza sulla spiaggia (1904), la luna all’orizzonte bacia il suo riflesso sull’acqua e diventa Croce di luce: danza Munch nella sala da ballo della vita sotto il cielo stellato insieme alla sua Tulla. In un’altra vita, davanti a un altro mare.

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