Se c’è un dato che impressiona in questa Serie A, è il numero degli infortunati: 76 (settantasei, proprio così) finora, dopo sette partite. Settantasei su poco più di cinquecento: di fatto, quasi un quinto dell’intero parco giocatori che vanta la massima serie italiana. È tanto? Sì. Ma a preoccupare sono i tipi di infortunio: perché di quei settantasei, tredici sono per rottura del legamento crociato. C’è chi se lo trascina dallo scorso anno (come Scalvini o Schurrs), c’è a chi è capitato durante la preparazione estiva. C’è chi, invece, si è dovuto fermare ora: Bremer una settimana fa; Zapata, invece, oggi. Stagione finita per l’attaccante e capitano del Torino, stagione finita anche per il difensore brasiliano. Salvo miracoli. “Ci vogliono almeno sette mesi per recuperare bene da un infortunio come questo”, conferma a ilfattoquotidiano.it Renato Misischi, ex medico sociale del Torino, medico chirurgo specializzato proprio in traumi a spalle e ginocchia.
Che per i giocatori, nel caso delle gambe, stanno diventando un problema serissimo. “Nello specifico”, spiega Misischi, “la lesione del crociato può avvenire in vari modi. Quelli principali sono due: o da contatto (cioè scontro) durante una partita, o in autonomia. Nel secondo caso, dipende tutto dal movimento, da come si effettua la torsione sul terreno. Il meccanismo della giocata non è naturale e si arriva al cedimento del legamento”. Che è dolorosissimo.
Ma da cosa è causato? “Io vorrei sfatare un mito: la preparazione fisica è importante, perché porta a maggiore protezione dell’articolazione, ma non determinante ai fini dell’accadimento. E nemmeno l’alto numero delle partite: è normale che più si giochi, più aumenti la percentuale di infortunati. Ma è un dato statistico banale”. Cosa può quindi aver portato a un aumento di questo tipo di infortuni? “A cambiare è il modo di giocare, vale a dire la richiesta verso il calciatore: si cercano atleti sempre più strutturati dal punto di vista fisico, con un’estremizzazione della velocità del gesto tecnico”. Vale a dire che i giocatori devono essere rapidi ma anche potenti, con un’esasperazione della giocata che può portare guai seri.
“La questione delle partite, poi, è davvero relativa. In allenamento posso garantire come l’intensità sia altissima. Anzi, se possibile anche più alta, perché non esistono possibili tentazioni come le simulazioni o perdite di tempo. Ho visto, purtroppo, infortuni gravissimi capitare proprio in allenamento, dove si giocano partite allo stesso livello agonistico di quelle ufficiali”.. Un aspetto da non sottovalutare, questo, che può aprire a un’altra questione: cosa si chiede a un giocatore? Il problema sono i minuti giocati o il modo in cui si deve stare in campo?