Per gli appassionati del genere “distopia”, il 5 ottobre il governo Meloni ha reso concreto ciò che molti film e serie presentano come mera rappresentazione immaginaria di un futuro spaventoso. Mancavano il riconoscimento biometrico e il controllo dell’iride e avremmo potuto pensare di trovarci sul set di una nuova puntata di “Black Mirror”. Invece no, eravamo in una piazza a Roma in un sabato d’autunno in cui sole e pioggia si sono alternati di continuo. Forse meno affascinante, ma tremendamente più reale.
Potere politico e mediatico hanno costruito un climax che ha raggiunto l’acme il 5 ottobre. Da settimane si procedeva alla criminalizzazione di chi voleva scendere in piazza per denunciare il genocidio in corso in Palestina, l’allargamento della violenza al Libano e le complicità occidentali che permettono a Netanyahu di procedere impunemente su una strada fatta di massacri quotidiani. A incendiare il clima è arrivato anche un comunicato ufficiale dell’USIC (Unione Sindacale Italiana Carabinieri) che auspicava la “mano dura” del governo contro le “ingerenze di quest’orda” (i manifestanti). Uno strano modo per allentare la tensione.
Così, mentre il 5 ottobre da New York a Londra, da Parigi a Madrid, passando per Santiago del Cile, solidali col popolo palestinese sono scesi in strada, in seguito a un appello internazionale delle organizzazioni palestinesi, c’è stata una sola capitale che ha calpestato e negato il diritto a manifestare dei nostri popoli: quella Roma governata dall’ultradestra meloniana.
Il dispositivo repressivo messo in campo dal ministro Piantedosi ricordava quello della serie “La Barriera”, con cui un governo dittatoriale utilizzava le forze di sicurezza per impedire alla gente comune di entrare nel “Settore 1”, così da difendere interessi e privilegi della grande borghesia che lì viveva. Forze di polizia controllavano ogni possibile accesso a Roma, dopo che alcune Questure avevano già vietato la partenza di bus organizzati per raggiungere la capitale, come denunciato da “Rimini per Gaza”.
Agenti in borghese erano presenti già nelle stazioni ferroviarie delle principali città italiane, per monitorare chiunque fosse in partenza. Carabinieri e polizia erano poi schierati in gran numero ai caselli autostradali, così da costruire una prima “barriera” e poter fermare e controllare gli autobus. I passeggeri diretti a Roma venivano fatti scendere e gli agenti procedevano al controllo dei documenti, tanto manuale quanto al terminale.
Un’altra “barriera” era stata elevata all’ingresso della piazza che avrebbe dovuto ospitare il presidio – prima vietato poi, infine, autorizzato nella mattina del 5 ottobre stesso. I manifestanti erano costretti a passare attraverso forche caudine di blindati e ali di poliziotti fino a raggiungere funzionari addetti a fotografare i documenti di identità di tutti, mentre altri agenti filmavano accuratamente. Prima ancora di formare il presidio, dunque, il governo Meloni ha prodotto nei fatti una schedatura di massa. Alle 13:00, un’ora prima dell’orario di convocazione del presidio, la Questura riportava di aver effettuato già 1.600 controlli e identificazioni.
Non solo. Perché, sempre a quell’ora, ben 19 persone erano già state tradotte in Questura o in commissariato. Senza che fosse successo nulla. Alla fine della giornata saranno addirittura 51 quelle cui è stato comminato un foglio di via. Persone spesso incensurate cui la Questura “ordina di lasciare il territorio dl Comune di Roma entro 1 ora […] e di non farvi ritorno” per un periodo variabile, da un minimo di 6 mesi a qualche anno. Cittadine e cittadini cui sarà impedito di accedere alla capitale senza che abbiano commesso alcun reato e sulla mera presunzione della possibilità di crimini futuri.
Piantedosi e Meloni non hanno nemmeno dovuto attingere e copiare i preveggenti – “precogs” – di Minority Report, perché hanno potuto utilizzare strumenti già esistenti, a partire da quel “Daspo urbano” con cui l’allora ministro degli Interni Minniti (Pd) assicurava ai Questori la facoltà di vietare l’accesso a determinate zone a persone considerate un pericolo per la sicurezza pubblica. In principio furono gli ultras, poi chiunque minasse il “decoro” delle nostre città, oggi chi vuole esercitare il diritto di manifestare.
Dunque, provando a fare ordine: divieto di manifestare, in violazione delle libertà democratiche di rango costituzionale (art. 17 e art. 21); criminalizzazione mediatica, con il potere mediatico dell’ultradestra – ma anche del “progressismo” – che non perdevano occasione di parlare di amici dei terroristi, di manifestanti “pro-Hamas”, ecc.; repressione preventiva che ha preso la forma di una schedatura di massa e di fogli di via comminati a persone che non avevano commesso alcun crimine.
Nemmeno coloro che pure denunciano un giorno sì e l’altro pure l’“orbanizzazione” dell’Italia, all’indomani del 5 ottobre, hanno il coraggio di denunciare questa violenza di Stato, preferendo concentrarsi sul lancio di bottiglie e petardi da parte di alcuni manifestanti al termine del presidio. Per qualcuno, evidentemente, la violenza del potere è una carezza.
Per fortuna, però, anche se potere politico e mediatico fanno sparire questo “fatto”, al dispositivo repressivo attuato dal ministro degli Interni, abbiamo reagito in migliaia. Più di diecimila persone hanno affollato lo spazio del presidio. Sfidando non solo il divieto governativo, ma anche e soprattutto la paura. Una risposta niente affatto scontata. In migliaia eravamo a Roma per non rassegnarci a farci chiudere nel nostro privato e nelle nostre case (per chi le ha).
C’è chi oggi vorrebbe disfarsi del movimento in solidarietà con la Palestina. Scomodo, scomodissimo. Perché non si limita a puntare il dito su ciò che succede sull’altra sponda del Mediterraneo.
Ma sottolinea, ad esempio, il ruolo di primo piano di un’impresa controllata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, Leonardo, che non solo continua presumibilmente a inviare armamenti a Israele – smentendo il ministro Crosetto che a ottobre 2023 dichiarava sospeso l’invio di armi a Netanyahu – ma addirittura a venderne di nuove. È ciò che fa attraverso la controllata statunitense Leonardo DRS, autorizzata a cedere a Tel Aviv “rimorchi per carri armati pesanti e relative attrezzature, per un costo stimato al momento in 164,6 milioni di dollari” (Milano Finanza, 19 settembre 2024).
Un mondo in cui legittima è la complicità col genocidio israeliano in corso a Gaza e non manifestare per fermarlo, è un mondo sottosopra che va rimesso sui piedi.