“Sono preoccupato per la nostra democrazia”. Un Martin Scorsese così politico, anzi di più partitico, ancor meglio democratico (inteso come Partito Democratico statunitense) non l’avevamo mai sentito. Capita durante la conferenza stampa al Museo del Cinema di Torino per la consegna della Stella della Mole. Un evento rarissimo, sia chiaro. Perché zio Marty di queste cosucce così materiali come le elezioni presidenziali non parla granché. L’occasione per un parallelo interessante tra cinema e politica, tra passato e presente, Scorsese lo offre rispondendo alla domanda di una giornalista su quello che sta accadendo politicamente negli Stati Uniti a un mese dalle presidenziali che vedono sfidarsi Trump e Harris.
“Quando abbiamo girato Gangs of New York (2002), tra l’altro qui in Italia a Cinecittà, abbiamo scavato nel passato del nostro paese per capire la nascita della nostra nazione e dell’esperienza di governo che ne seguì”, ha ricordato il regista di Taxi driver. Scorsese ha così rievocato il protagonista Bill the Butcher (interpretato da Daniel Day Lewis), violentissimo e crudele picchiatore di strada di origine wasp (white anglo-saxon protestants) che odiava gli immigrati irlandesi e cattolici.
“Questi gruppi white awake modello Bill the Butcher ci sono di nuovo. Fanno la stessa lotta. In gioco oggi è la nostra esperienza di democrazia, il suo proseguimento o la sua fine. È un momento che non avrei mai pensato di poter vivere. Gangs of New York si è rivelata una previsione tristemente azzeccata”. Curioso, comunque che la non proprio velata critica verso il trumpismo rimescoli comunque un po’ le carte dicotomiche di metà ottocento, l’epoca ben più brutale in cui è ambientato il suo film. Ulteriormente curioso che qualche minuto dopo la domanda di un altro giornalista verta proprio sul fatto che Scorsese sia stato un maestro, cattivo o buono è la domanda del collega, nel rappresentare al cinema proprio la violenza. “Non so se sono un buono o un cattivo maestro, ma la violenza è parte di ciò che siamo, del nostro essere”, ha risposto di primo acchito il regista newyorchese. “Nella mia crescita la violenza fu qualcosa di essenziale. Era parte della mia vita di strada. E soprattutto mi ha portato a riflettere su quello che noi umani siamo. Inoltre non esiste solo la violenza della strada, ma anche quella, che so, che esercitano gli studios e le grandi banche. Temi che mi piacerebbe analizzare prima o poi”.