Non c’era nessuna prova nuova che potesse scardinare le tre sentenze di condanna per la strage di Erba. I giudici della Corte d’appello di Brescia in 88 pagine hanno spiegato perché non ci potrà essere un processo di revisione sulla mattanza avvenuta nella corte di via Diaz nella cittadina in provincia di Como l’11 dicembre del 2006 e perché Olindo Romano e Rosa Bazzi restano all’ergastolo. Raffaella Castagna, il figlio Youssef Marzouk, la madre Paola Galli e la vicina di casa Valeria Cherubini furono trucidati dai vicini di casa che mal sopportavano la famiglia considerata rumorosa e con cui avevano una causa civile in corso. Quinta vittima del massacro Mario Frigerio, marito della Cherubini, sopravvissuto allo sgozzamento e testimone dell’accusa nei processi contro i due imputati. I verdetti, tutti concorsi nel riconoscimento della responsabilità penale di Olindo Romano e Rosa Bazzi, anche per i giudici di Brescia hanno “un solido impianto probatorio” e le istanze non forniscono “prove nuove”.
“La lunga disamina che precede consente di apprezzare con immediatezza la solidità dell’impianto probatorio su cui si fonda il giudicato di condanna e, soprattutto, l’assenza del carattere di novità della maggior parte delle prove di cui le difese chiede l’acquisizione” si legge nelle motivazioni. “Aldilà dell’assenza di novità che caratterizza… la maggioranza di esse, le prove proposte dai ricorrenti, inoltre, si concentrano su dati di contorno o ambivalenti, che, anche sommati e valutati unitamente alle prove già acquisite, non sono in grado d’incrinare il compendio probatorio su cui si fonda il giudicato di condanna”.
Le istanze – Erano tre le istanze presentate per chiedere la revisione del processo per la strage di Erba: quella del pg di Milano, Cuno Tarfusser, quella del tutore degli imputati e quella dei due coniugi che sono stati condannati all’ergastolo. Nessuna delle tre è stata ritenuta ammissibile. Senza contare che quella presentata da Tarfusser era inammissibile in quanto non legittimato. Tra consulenze tecnico-legali, una perizia psichiatrica di Olindo Romano, una consulenza neurologica, interviste televisive al programma Le Iene, trascrizioni di intercettazioni, testimonianze e fotografie sono state 18 le sedicenti nuove prove sottoposte ai giudici della Corte d’appello di Brescia.
Istanze Tarfusser e tutore – Il sostituto procuratore generale riteneva che Rosa Bazzi e Olindo Romano fossero “innocenti e vittime di un errore giudiziario” e dopo diverse dichiarazioni, aveva anche presentato un’istanza. Una mossa quella del magistrato che innescò anche una polemica con la procuratrice generale di Milano, Francesca Nanni, che chiese l’apertura di un procedimento disciplinare. Che poi portò il Csm a censurarlo; per il Consiglio superiore della magistratura agì “come fosse l’avvocato di Olindo e Rosa. Ha chiesto la revisione da solo per avere visibilità mediatica”. Tanto premesso per i giudici bresciani: “La richiesta del dott. Tarfusser, invero, prima ancora che carente sotto il profilo della novità della prova, per le ragioni che saranno esposte con riferimento all’istanza dei condannati, è inammissibile per difetto di legittimazione del proponente”. Insomma non poteva presentare l’istanza, ma anche se fosse stato legittimato nessuna nuova prova sarebbe stata trovata dai magistrati nella sua istanza. L’istanza del tutore, che invece è legittimato per legge, è inammissibile perché accessoria a quella di Tarfusser.
Istanza Bazzi Romano – Nessuno spiraglio neanche per gli imputati condannati: “La richiesta di revisione presentata da Olindo Romano e Rosa Bazzi è, invece, rituale, ma inammissibile sotto il duplice profilo della mancanza di novità e della inidoneità a ribaltare il giudizio di penale responsabilità delle prove di cui è chiesta l’ammissione”. I magistrati ricordano che “investendo il giudizio di revisione una condanna definitiva, le nuove prove, dunque, devono avere un elevato grado di affidabilità ed essere idonee a ribaltare l’affermazione di penale responsabilità contenuta nella sentenza di cui s’invoca la revoca”, inoltre ragionano i magistrati: “La diversa valutazione tecnico-scientifica di elementi fattuali già noti, inoltre, può costituire “prova nuova” solo se fondata su nuove acquisizioni scientifiche, tali da fornire risultati non raggiungibili con le metodiche in precedenza disponibili e sempre che si tratti di applicazioni tecniche accreditate e condivise all’interno della comunità scientifica di riferimento”. Le lamentele dei coniugi riguardavano tra le altre la rilevazione della traccia di sangue sul battitacco della loro macchina e riferibile a Valeria Cherubini, la testimonianza di Mario Frigerio e le trascrizioni delle sue intercettazioni, la loro capacità di intendere e di volere, le confessioni ampie “spontanee”, pieni di particolari e poi ritrattate.
Le interviste non sono “prove nuove” – È noto come il programma Le Iene abbia dedicato molte puntate alla strage di Erba e tra i motivi delle istanze c’erano alcune interviste. Ma queste non possono costituire una prova nuova peri magistrati. La spiegazione dei giudici è la seguente: “Poiché una parte delle prove di cui la difesa chiede oggi l’acquisizione sono rappresentate da interviste rese a testate giornalistiche e televisive, a queste preliminari considerazioni sulla nozione di “prova nuova”, deve aggiungersi che la natura di documento dei supporti cartacei e audiovisivi di tali interviste non vale, ad avviso della Corte, a conferire loro il rango di prova ammissibile in sede processuale”.
“Domande suggestive, insinuanti e insidiose” – L’intervistato non è un testimone e quindi non è obbligato a dire la verità e può essere suggestionato: “Diversamente dal testimone escusso in giudizio, il soggetto intervistato non ha l’obbligo, penalmente sanzionato, di dire la verità e non assume alcun impegno in tal senso. Al contrario, è sicuramente condizionato dal mezzo e dalla pubblicità che esso garantisce e tende generalmente a compiacere l’intervistatore e – proseguono i giudici – a porsi in una luce favorevole, abbandonandosi a supposizioni ed esprimendo opinioni personali che non sarebbero ammesse in sede processuale. Nessun presidio, aldilà della deontologia dell’intervistatore, è previsto a tutela della genuinità e libertà delle sue risposte e della correttezza delle domande, che ben possono essere, in un’ottica di mero giornalismo investigativo, suggestive, insinuanti e insidiose. L’argomento – sottolineano – vale per tutte le interviste proposte dalle difese nell’istanza di revisione e nelle successive memorie, a maggior ragione per quelle a soggetti che hanno deposto nel dibattimento di primo grado, la cui testimonianza non può essere falsificata da risposte incerte o apparentemente in contrasto con quanto dichiarato nella sede processuale deputata, offerte a distanza di quasi vent’anni dai fatti e dalla testimonianza resa in primo grado, fuori da un’aula di giustizia, in contesti privi della “sacralità” propria del processo, senza obbligo di verità e in assenza delle regole fissate” dal codice di procedura penale.
La traccia di sangue – I giudici hanno quindi affrontato punto per punto le istanze e risposto a tutte le doglianze dei ricorrenti. Veniva contestato il prelievo della traccia di sangue di Valeria Cherubini sul battitacco della macchina degli imputati. Tra le prove contro i due coniugi c’era anche la presenza del sangue di una delle vittime. I giudici scrivono: “La scarsa maestria del brigadiere Fadda nel fotografare le tracce evidenziate dal Luminol o nell’assemblare le fotografie non vale a destituire di valore il dato concludente del rinvenimento sul battitacco della vettura di proprietà di Romano di una traccia ematica contenente il profilo genetico di Valeria Cherubini, che già nei precedenti gradi di giudizio è stato escluso possa essere stata lì deposta durante la perquisizione della vettura eseguita il 12.12.2006 e che neppure può sospettarsi essere frutto di una contaminazione in laboratorio, essendo stata consegnata dal dott. Previderè e da questi esaminata in un momento diverso da quello dell’analisi degli indumenti delle vittime”.
La testimonianza di Frigerio – La difesa ha presentato una consulenza per sostenere che la testimonianza di Frigerio fosse un falso ricordo. Ma per i giudici: “Lo stato di grave sofferenza e di confusione mentale di Mario Frigerio durante la degenza in ospedale e le sollecitazioni alla memoria rivoltegli dagli inquirenti, dai familiari e dal difensore non incrinano la lucidità della ricostruzione dell’aggressione dallo stesso offerta in dibattimento, coincidente con quella fornita dagli imputati nelle confessioni e ricca di dettagli sui movimenti suoi e della moglie durante quella giornata e nel momento in cui scesero le scale per capire da dove uscisse il fumo e prestare aiuto e in cui, dunque, l’unica informazione frutto d’indebite suggestioni sarebbe rappresentata proprio dall’identità del suo aggressore”.
Le confessioni – Sulla capacità di intendere e di volere degli imputati e le confessioni (per la difesa estorte, ndr) i magistrati scrivono: “Le discrasie su alcuni dettagli, i profili personologici degli imputati, ivi compreso il ritardo mentale di Rosa Bazzi, e le conversazioni in cui i due appaiono sereni o commentano in modo asettico la strage con terze persone non inficiano la genuinità delle confessioni, perfettamente sovrapponibili nel loro contenuto essenziale, rese, non già ai carabinieri o nel primo interrogatorio dopo il fermo, ma dopo che Romano stesso aveva chiesto di parlare con i Pubblici Ministeri, in presenza del difensore, dopo aver avuto l’opportunità di parlare tra loro (per quanto intercettati) e integralmente registrate, ribadite nell’interrogatorio avanti al GIP, non contestate per mesi e mesi, contenenti una pluralità di dettagli riscontrati dal complesso delle indagini e non smentiti dalle odierne asseritamente nuove consulenze medico – legali e dalla BPA e informazioni che potevano essere patrimonio conoscitivo solo degli autori della strage e ribadite negli appunti sulla Bibbia e nella lettera a padre Bassano”
La consulenza sulla morte di Valeria Cherubini – Per la difesa, che ha prodotto una consulenza, Valeria Cherbini non sarebbe stata in grado di trascinarsi al piano superiore dopo essere stata aggredita. Ma secondo i magistrati di Brescia “il fatto che… presentasse un ematoma in zona lombare, non considerato neppure dai consulenti della difesa in fase di cognizione, non dimostra che avesse subito una lesione del muscolo … tale da impedirle di trascinarsi fino alla propria mansarda, né che sia lì che sia stata attinta dai colpi mortali da parte di ignoti aggressori, che avrebbero, poi, dovuto scendere le scale ormai invase dal fumo … attraversare l’appartamento in fiamme di Raffaella Castagna … e calarsi dal terrazzo senza lasciare tracce..”.
La presunta fuga sul terrazzo e i consumi di elettricità – La difesa ha sostenuto che gli assassini sarebbero fuggiti dal terrazzo. Ma nessuna traccia di un passaggio è stato mai rilevato. “Dalle immagini girate quello stesso 12 dicembre 2006 dal RIS e il giorno precedente dai carabinieri e dai vigili del fuoco risulta, infatti, che il terrazzo era in ordine e non presentava tracce di passaggio di alcuno …, né sul terrazzo, né sulla grondaia, né sul muro, né alla base del terrazzo (ben immortalati nelle fotografie scattate dai vigili del fuoco e perfettamente puliti)”. C’è poi le presunte presenze di estranei in casa Castagna legate ai consumi di elettricità: “Il dato dei consumi di energia elettrica è privo di univocità, risultando condizionato da una pluralità di variabili, e non prova né che l’abitazione di Raffaella Castagna fosse quotidianamente
frequentata in sua assenza da persone sospette (che, oltre a possedere le chiavi di casa, avrebbero dovuto possedere anche quella del contatore), né, tantomeno, che siano state queste, in contrasto con l’assenza di tracce fuori della corte di via Diaz o lungo la loro presunta via di fuga (non contaminata dall’azione dei vigili del fuoco), a commettere il plurimo omicidio”.
L’inesistente faida per droga – Inesistente la faida per droga. “L’ipotetico movente legato a un regolamento di conti nell’ambito del traffico di sostanze stupefacenti
è stato invano approfondito nella prima fase delle indagini e non ha trovato alcun riscontro neppure nelle indagini condotte in parallelo dalla Guardia di Finanza di Como e non può certo trovare nuova linfa nelle apodittiche affermazioni di Abdi Kais e nelle supposizioni degli altri pregiudicati intervistati mentre era in corso l’odierno processo di revisione”.
Dati frammentati contro un quadro probatorio solido e unico – I giudici concludono che al loro vaglio sono arrivate congetture. “Ai frammentari dati su cui si concentra l’istanza di revisione – che in alcun modo possono essere ricondotti a unità, se non nell’ottica, non a caso ripetutamente evocata, della falsificazione delle prove, cui avrebbero, peraltro, contribuito gli odierni ricorrenti, confessando un crimine non commesso – si contrappone, d’altro canto, un quadro probatorio solido e univoco, in cui convergono, accanto alle tre prove su cui s’incentra l’istanza di revisione (traccia ematica di Valeria Cherubini sul battitacco della Seat Arosa, riconoscimento da parte di Mario Frigerio e confessioni), le annotazioni sulla Bibbia, la lettera a padre Bassano, le dichiarazioni ammissive di responsabilità al vicino di cella Tavaroli e gli ulteriori elementi di valenza indiziaria già valorizzati in sede di cognizione (il movente la circostanza che Romano e la Bazzi la sera del fatto avessero delle piccole ferite, non abbiano aperto subito ai carabinieri, sostenendo di essersi addormentati, nonostante il trambusto e i vigili del fuoco in azione per spegnere un incendio accanto al loro appartamento e si siano precipitati a tirar fuori lo scontrino di Mc Donalds; le caratteristiche delle ferite delle vittime, che hanno consentito al dott Scola di ipotizzare che gli aggressori fossero due, uno più alto e uno più basso, uno destro e uno mancino, uno più forte dell’altro; il fatto che il contatore fosse chiuso e solo i condomini potessero aprirlo per staccare la corrente; il fatto che solo i coniugi Romano sarebbero potuti uscire, rifugiandosi nella lavanderia, senza essere visti; l’assenza tracce all’esterno della corte).
La difesa ha annunciato ricorso: “Abbiamo 45 giorni di tempo per impugnare la sentenza e ricorreremo in Cassazione – ha detto a LaPresse l’avvocato Fabio Schembri – Si ricorre in Cassazione per vizi di legittimità e vizi procedurali e riteniamo che rientriamo del tutto in questo contesto. Da questo punto di vista non potevamo avere motivazioni migliori”. Schembri evidenzia che è “una ovvietà” aver dichiarato inammissibile la richiesta di revisione per assenza di prove nuove. “Noi non offriamo prove, ma elementi di prova – sottolinea – Le prove si costruiscono nel processo”. Anche in relazione al processo, l’avvocato evidenzia, come fatto a luglio scorso quando la Corte d’Appello di Brescia confermò la condanna respingendo al richiesta di revisione, che “si è data l’impressione di celebrare un processo, fissando delle udienze, ascoltando testimoni e consulenti. Cosa che non c’è stata. I giudici avrebbero potuto respingere direttamente le richieste di revisione con un provvedimento“.