“Mi hanno sottratto il progetto“. Così dice Pietro Valsecchi all’Adnkronos scagliandosi contro al podcast e alla docu-serie “E poi il silenzio – Il disastro di Rigopiano”, prodotti da Chora Media e narrati da Pablo Trincia. Il produttore cinematografico denuncia infatti un furto di proprietà intellettuale, accusando Trincia e Chora Media di essersi appropriati indebitamente del progetto sulla tragedia dell’hotel Rigopiano in cui persero la vita 29 persone, sul quale Valsecchi stava lavorando dal 2017. “Sono molto colpito dalle affermazioni di Valsecchi – la replica di Trincia – perché lavoro sempre con materiali originali raccolti da me e il mio è stato un percorso pieno di passione e di attenzione per le vittime e i sopravvissuti della tragedia di Rigopiano. Ho preso a cuore la loro storia per quel senso di verità e giustizia che meritano”.
Le accuse
All’Adnkronos, Valsecchi spiega che il progetto, iniziato nel 2017 in collaborazione con l’associazione delle vittime e lo studio legale Reboa, includeva la realizzazione di un podcast e di una docu-fiction sulla tragedia di Rigopiano. “Nessuno, né i familiari delle vittime, né l’associazione, né lo studio legale, avrebbe concesso a Pablo Trincia di utilizzare i materiali per la produzione del podcast e della docu-serie, poiché stavo già lavorando da anni su questo progetto“, dichiara Valsecchi che sabato ha depositato tramite i suoi legali la diffida. Il produttore aveva già raccolto testimonianze filmate dai familiari delle vittime, con l’obiettivo di devolvere tutti i ricavi alle famiglie.
L’incontro con Chora Media e Pablo Trincia
La vicenda prende una svolta quando, su consiglio del produttore Mario Gianani, Valsecchi si era detto disponibile a condividere il progetto con Chora Media, coinvolgendo il giornalista Pablo Trincia: “Trincia si è dimostrato inizialmente entusiasta e ha più volte visitato il mio ufficio. A mia insaputa – racconta Valsecchi – Trincia ha incontrato i familiari delle vittime e lo stesso studio legale che ora mi rappresenta. Tutti credevano che lavorasse per me, quindi gli hanno fornito accesso a faldoni, intercettazioni, vocali e tutto il materiale raccolto. Poi, improvvisamente, mi sono trovato di fronte al podcast e alla presentazione della docu-fiction. Hanno realizzato il tutto alle mie spalle, probabilmente per risparmiare. Avevo preso un impegno con lo studio Reboa e i familiari delle vittime: devolvere loro tutti i ricavati. Cosa che ora, evidentemente, non avverrà”, continua il produttore, che accusa il team di aver agito per risparmiare sui costi.
La diffida
Valsecchi, tramite gli avvocati Romolo Reboa e Simone Trivelli, ha formalizzato una diffida contro Trincia e Chora Media, chiedendo a Sky la sospensione della programmazione del podcast e della docu-serie, la cui uscita è prevista per novembre. Il podcast, composto da otto episodi, è stato lanciato il 28 settembre, mentre la docu-serie, prodotta da Chora Media, sarà distribuita da Sky: “Ciò che emerge chiaramente è che la mia proprietà intellettuale è stata sottratta“, afferma Valsecchi, rivendicando la legittimità del suo lavoro.
La replica di Pablo Trincia
Tempo qualche ora, ed è arrivata la replica del giornalista e della società Be Content: “La ricostruzione degli eventi di Rigopiano nel nostro podcast e docuserie si basa su fonti giornalistiche ampiamente diffuse e pubblicamente accessibili, e pertanto non può essere rivendicata alcuna proprietà esclusiva“, si legge nel comunicato. “Abbiamo agito con trasparenza, contattando i sopravvissuti e i familiari delle vittime. Le interviste nel podcast e nella docuserie – che costituiscono comunque solo una piccola parte del nostro lavoro d’inchiesta – sono originali e rilasciate con pieno consenso e liberatorie firmate“, spiega Trincia. “Gli scambi su WhatsApp menzionati dal Sig. Valsecchi riguardano un progetto editoriale discusso solo in via preliminare e abbandonato nel 2022 senza che alcun accordo venisse concluso fra le parti. Le poche interviste realizzate in quella fase non fanno parte del nostro lavoro e restano a disposizione del Sig. Valsecchi per eventuali progetti autonomi. Nessuno dei materiali in possesso del Sig. Valsecchi è stato utilizzato nel nostro podcast, e nulla è stato “sottratto”, come insinuato nella sua lettera di diffida“. Per poi concludere: “I fatti di cronaca non sono soggetti a diritti di privativa e chiunque è libero di raccontarli, auspicabilmente con la stessa cura e rispetto che abbiamo dedicato noi a questo progetto al fine di rendere giustizia alle vittime di questa tragica vicenda”.
Le parole dello Studio Legale Reboa
L’avvocato Simone Trivelli, dello studio Reboa, ha spiegato che Pablo Trincia non era in possesso legittimo del materiale utilizzato per la produzione del podcast e della docu-serie: “Trincia aveva riconosciuto in più occasioni che il destinatario finale del materiale doveva essere Valsecchi, ma ha poi spostato la responsabilità su Chora Media”. Trivelli aggiunge che il contratto originario prevedeva che i ricavi sarebbero stati devoluti alle famiglie delle vittime, ma l’accordo è stato violato: “Abbiamo già inviato una diffida e, se non ci sarà risposta, procederemo con ulteriori azioni legali”, avverte lo studio Reboa.
Valsecchi: “Profitti per le Famiglie delle Vittime”
Nonostante la battaglia legale in corso, Valsecchi conferma la sua intenzione di devolvere i proventi del progetto alle famiglie delle vittime di Rigopiano: “Ho preso un impegno morale con loro e voglio rispettarlo“, dichiara. Il produttore ringrazia infine lo studio Reboa per il supporto legale e conferma che, qualunque sia l’esito della vicenda, farà in modo che le famiglie ricevano quanto dovuto.
Il comitato delle vittime
“Ci resta l’amaro in bocca per la promessa non mantenuta, anche se l’importante è che il prodotto finale sia di qualità”. Lo afferma Gianluca Tanda, attualmente presidente del “comitato vittime Rigopiano”, confermando all’Adnkronos la versione del produttore: “Inizialmente ci contattò Valsecchi, che già conoscevamo perché voleva fare un film su Rigopiano, progetto poi sfumato. Tempo dopo ci ripropose l’idea, ma stavolta sotto forma di podcast e poi docuserie. Non sapevamo bene cosa fosse un podcast all’epoca, ma ci interessava raccontare la nostra storia e onorare la memoria delle vittime. Valsecchi ci presentò Pablo Trincia come il migliore nel settore, dicendoci che sarebbe stato lui a occuparsi del progetto. Ci fidammo. Trincia ci intervistò, ci chiese di coinvolgere altre persone, e noi collaborammo pienamente, fornendogli contatti e tutto quello che ci chiedeva“. “Abbiamo, quindi, interagito sempre con Trincia pensando che il progetto fosse ancora nelle mani di Valsecchi“, afferma. “Dopo un po’, Trincia ci chiese di girare un nuovo video e di firmare una nuova liberatoria. A quel punto capimmo che Valsecchi non c’era più. Io personalmente chiamai subito Trincia per chiedere spiegazioni, dicendogli che ero vincolato a un accordo con Valsecchi e che non potevo firmare una seconda liberatoria per lo stesso progetto. Alla fine non l’ho firmata, come altri. Ci siamo sentiti un po’ traditi, soprattutto per la modalità con cui è stata gestita la cosa”. C’è poi anche la promessa dei proventi che sarebbero stati devoluti interamente al comitato che sarebbero serviti per gestire le diverse iniziative dei familiari delle vittime, come ad esempio il giardino della memoria: “Non siamo alla ricerca di soldi, ma di verità e giustizia per i nostri cari. Ci resta l’amaro in bocca ma l’importante è che il prodotto finale sia di qualità”.