Ambiente & Veleni

Campi Flegrei, al via le prove di evacuazione. Ma la soluzione efficace è una sola

Dal 9 al 12 ottobre 2024 ci saranno prove di evacuazione per i cittadini flegrei, a causa del persistente bradisismo. Il Piano di emergenza per i Campi Flegrei e il Vesuvio prevede che, nel caso in cui si preveda un’eruzione imminente, tutta la popolazione residente nella corrispondente ‘zona rossa’ sia evacuata entro un tempo massimo di 72 ore. La zona rossa flegrea contiene oltre 500.000 abitanti; quella vesuviana circa 700.000. L’evacuazione è pianificata via terra, attraverso strade e ferrovie.

Tralasciando di commentare il problema prettamente logistico, che verosimilmente sarà stato studiato e pianificato da specialisti del settore, negli ultimi anni abbiamo affrontato, con una visione multidisciplinare (con economisti, sociologi, pianificatori, ecc.), le problematiche della mitigazione del rischio vulcanico in queste aree. Nelle nostre pubblicazioni spieghiamo che il primo, fondamentale problema concerne la possibilità di previsione di un’eruzione. La ricerca recente, basata sulle casistiche delle eruzioni di moltissimi vulcani in tutto il mondo negli ultimi decenni, evidenzia come la probabilità di una corretta previsione sia molto bassa: inferiore al 20%. D’altra parte, nelle caldere come i Campi Flegrei, in cui periodicamente si osservano praticamente tutti i fenomeni considerati ‘precursori’ di eruzioni (sismicità, sollevamento del suolo, anomalie geochimiche nelle fumarole e nelle acque), la previsione delle eruzioni è ancor più improbabile: lo dimostrano proprio le evacuazioni operate nel 1970 (3000 abitanti evacuati dal Rione Terra, zona di massimo sollevamento del suolo) e nel 1984 (40.000 persone evacuate, praticamente l’intera cittadina di Pozzuoli): non vi fu infatti alcuna eruzione.

Un altro problema è la durata dell’evacuazione: in caso di eruzione, gran parte del territorio sarebbe devastato, quindi per decenni almeno inabitabile; ma anche se l’eruzione tardasse, nessuno potrebbe ragionevolmente ipotizzare un limite di tempo diverso dai decenni oltre il quale far ritornare la popolazione, esponendola ad un rischio altissimo. La storia recente ci insegna che, dal 1950 ad oggi, i Campi Flegrei sono di fatto in una fase apparentemente ‘pre-eruttiva’, sebbene in 70 anni e dopo due evacuazioni non ci sia ancora stata un’eruzione. Quindi, un’eventuale evacuazione di queste aree potrebbe durare decenni, se non per sempre.

Ciò vuol dire che la popolazione evacuata inizierebbe di fatto una nuova vita: che richiede un lavoro, servizi, svaghi. Tutto ciò dovrebbe essere previsto nei piani di emergenza; altrimenti, 500.000 o 700.000 persone, sparse su tutto il territorio nazionale (questo prevede l’attuale piano), sarebbero soggette, per tempi lunghissimi, ad un’esistenza precaria e completamente a carico dell’assistenza pubblica. Una situazione del genere, oltre a comportare costi di assistenza altissimi (abbiamo stimato oltre 40 miliardi di euro/anno), implicherebbe anche enormi disagi per la popolazione evacuata: entrambi probabilmente insostenibili.

Nelle nostre ricerche abbiamo quindi delineato quella che appare l’unica soluzione efficace, per quanto complessa in un paese poco incline alla prevenzione e alla programmazione: una drastica diminuzione della popolazione residente nelle zone rosse, che dovrebbe essere incentivata a spostare volontariamente la propria residenza in aree limitrofe, magari nella stessa regione, ben prima di qualunque emergenza e in maniera pianificata, in modo che abbia lavoro (anche conservandolo nelle stesse zone rosse, perché il problema non sono le attività ma la residenza in queste aree) e servizi sufficienti. Nel Sud Italia, e nella stessa Campania, sono molte le aree che si stanno spopolando: fenomeno che comporta enormi costi economici, che potrebbero essere evitati incentivando nuovi insediamenti magari con forti benefici/esenzioni fiscali per le aziende e i nuovi residenti. Parallelamente, si dovrebbe sviluppare una fitta rete di collegamenti pubblici efficienti tra i nuovi insediamenti e le zone di provenienza: in tal modo nelle zone rosse si potrebbe lavorare, incentivare il turismo e le attività commerciali, industriali e ricreative, diminuendo soltanto drasticamente la residenzialità.

Infine, per la restante popolazione delle zone rosse si dovrebbe programmare una riqualificazione antisismica degli edifici e una ristrutturazione e ampliamento dei porti, che possono costituire il più efficace sistema di evacuazione in caso di eruzione imminente o già in atto. Del miglioramento della portualità beneficerebbero anche il turismo e le attività commerciali e industriali. Per queste aree vulcaniche di rinomata bellezza, da sempre vocate al turismo e alla cultura ma divenute negli ultimi decenni dormitori alla periferia di Napoli, un tale programma costituirebbe un enorme beneficio, che insieme alla ripopolazione e riqualificazione delle aree limitrofe, spesso in gravi condizioni di calo demografico e degrado, sarebbe anche un modo per risolvere finalmente gran parte dei problemi del Mezzogiorno d’Italia.