Crime

Pietro Orlandi: “La pista inglese è valida. C’erano festini all’epoca, qualcuno li ha usati come ricatto. Chaoqui dovrà essere sentita sulla ‘cassa dei prosciutti’”

In un incontro pubblico nella sala della Protomoteca in Campidoglio, il fratello della cittadina vaticana scomparsa nel 1983 ha toccato i punti cruciali della vicenda che ha travolto la sua famiglia, 41 anni fa

di Alessandra De Vita
Pietro Orlandi: “La pista inglese è valida. C’erano festini all’epoca, qualcuno li ha usati come ricatto. Chaoqui dovrà essere sentita sulla ‘cassa dei prosciutti’”

La pista inglese su Emanuela Orlandi “è valida, ci sono tante coincidenze” anche se “non porta a capire tutto”. Lo ha detto ieri Pietro Orlandi, fratello di Emanuela, in un incontro pubblico nella sala della Protomoteca in Campidoglio. Il fratello della cittadina vaticana scomparsa nel 1983 ha toccato i punti cruciali della vicenda che ha travolto la sua famiglia, 41 anni fa. Partendo dalla testimonianza di Sabrina Minardi, emersa durante l’inchiesta condotta dal procuratore Giancarlo Capaldo, Pietro Orlandi si è detto convinto che effettivamente Emanuela in quella stessa estate in cui avvenne il rapimento “è stata riconsegnata perché c’era stato un ricattatore ed, evidentemente, le richieste del ricattatore sono state accontentate”.

La versione di Sabrina Minardi
Lamante di “Renatino” è la supertestimone del caso Orlandi. Interrogata dalla procura, circa 15 anni fa, ha dichiarato di aver preso in consegna la ragazza al Bar Gianicolo dall’autista di De Pedis, nell’estate del 1983, per consegnarla a un sacerdote (identificato dal cappello scuro a falde larghe) tra le mura del Vaticano. A causa delle sue dipendenze, la testimonianza è stata dichiarata inattendibile. Il procuratore Capaldo che raccolse la versione dei fatti della Minardi, è sempre stato certo del coinvolgimento del boss testaccino. Da una sua intervista: “De Pedis ha avuto il ruolo di organizzare il prelevamento e il sequestro della ragazza e poi la restituzione della ragazza a una persona non identificata. Non sapeva neppure perché Emanuela Orlandi era stata sequestrata, né ha partecipato alla gestione di eventuali trattative successive.” In Campidoglio, ieri Pietro Orlandi ha dichiarato dalla sua che a quel punto “Emanuela era una testimone vivente di quello che era successo” quindi “non potevano riconsegnarla alla famiglia” né eliminarla quindi “l’hanno messa in un ambiente della chiesa, in Inghilterra. Cosa è successo dopo non lo so”.

La pista inglese
Pietro Orlandi si è detto convinto che la cosiddetta ‘pista inglese’ riguardo la scomparsa di sua sorella Emanuela, debba essere approfondita. Secondo Orlandi, la commissione di inchiesta o la procura dovrebbero risalire e convocare l’uomo che “diceva di essere una persona vicina ai Nar” con il quale ebbe uno scambio di messaggi. “Ho consegnato tutti gli scambi di messaggi alla Commissione”. “Lui mi ha detto che Emanuela è stata fatta salire su un volo in estate e portata a Londra”, ha continuato il fratello di Emanuela aggiungendo che sempre secondo quanto gli è stato riferito tutto era legato a un ricatto. Emanuela era una cittadina vaticana e non poteva essere lei l’oggetto di un ricatto enorme, era una ragazzina. L’oggetto di ricatto doveva essere più pesante”, ha aggiunto Pietro. Secondo quanto gli è stato riferito, “c’erano festini all’epoca e qualcuno ha deciso di usare quella situazione come oggetto di ricatto”.

La cassa “dei prosciutti”
Si è poi parlato dell’audizione di Monsignor Valentino Miserachs, l’insegnante di canto di Emanuela, considerata da Pietro “importante, anche rispetto a Francesca Immacolata Chaouqui”. “Presumo che lei dovrà essere ascoltata, anche si avvarrà sicuramente del segreto pontificio”, ha spiegato Orlandi con riferimento a una cassa, che la Chaouqui, incaricata da Papa Francesco nel 2013 di far luce sui conti del Vaticano, disse di aver portato nella basilica di Santa Maria Maggiore, con dentro dei documenti sulla storia di Emanuela. Per questo Pietro chiede che Papa Francesco le tolga il segreto pontificio. “Chaouqui – spiega Pietro Orlandi – disse che era una cassa di legno, tra di loro la chiamavano la ‘cassa dei prosciutti’, lei e monsignor Vallejo Balda (entrambi poi arrestati per lo scandalo Vatileaks, ndr). Un altro particolare che ricordo è che disse che doveva essere di meno di un metro. Io e la Chaouqui incontrammo monsignor Miserachs (che intanto era diventato canonico di Santa Maria Maggiore, ndr) il 4 marzo del 2024 ma lui spiegò di non poter aiutare perché la basilica è stata commissariata e lui non ha più accesso alla zona sottostante”.

La commissione d’inchiesta
L’incontro è stato aperto dal senatore e presidente della Commissione parlamentare di inchiesta Andrea De Priamo, che si è detto “fiducioso. Ci sono tre soggetti al momento operativi: la procura di Roma, quella Vaticana e la Commissione bicamerale. Credo che il compito principale della Commissione sia quello di arrivare a una relazione, che consegneremo al Parlamento e dunque ai cittadini, che possa dipingere un quadro molto realistico“. Francesco Silvestri, capogruppo M5S alla Camera, ha dichiarato che “la commissione d’inchiesta sulla scomparsa di Emanuela Orlandi non è un favore fatto alla famiglia Orlandi, come forse ha pensato qualcuno che l’ha osteggiata per quarant’anni, ma è un preciso dovere di un Paese che abbia gli elementi della dignità. Abbiamo accettato troppa omertà e troppo silenzio. Vogliamo la verità e ci batteremo per averla”.

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