Oltre 72 miliardi di entrate tributarie e 10,3 di contributi. Per un totale di 82,4 miliardi. È la stima aggiornata delle risorse sottratte alle casse pubbliche dall’evasione fiscale nel 2021. La nuova Relazione della commissione ad hoc rinnovata in agosto dal ministero dell’Economia, che ha scelto come presidente Nicola Rossi, rivede lievemente al ribasso il tax gap – la distanza tra il gettito raccolto e quello che si otterrebbe se nessuno frodasse l’erario – calcolato nella precedente edizione del documento. Non cambiano le principali evidenze di fondo: nel complesso l’evasione è in progressivo calo dal 2017 soprattutto per effetto di un importante recupero del gap Iva, mentre resta inscalfibile quello che riguarda l’Irpef da lavoro autonomo e impresa. La cosiddetta propensione al gap, che misura la quota sottratta alle Entrate rispetto alla cifra attesa, nel complesso scende al 15% dal 17% dell’anno prima, risultato che – se confermato per il 2024 – consentirebbe all’Italia di dare per raggiunto il primo obiettivo in materia fiscale fissato dal Pnrr. Ma per le partite Iva resta al 66,8%: evadono quasi il 70% dell’imposta che dovrebbero versare.

In valori assoluti, l’Iva “mancante” misurata in termini di tax gap è scesa a 17,8 miliardi contro i 22 del 2020 e 27,5 del 2019, grazie soprattutto alla fatturazione elettronica e a meccanismi contabili anti evasione come lo split payment (il versamento dell’imposta per le forniture alla pa direttamente da parte degli enti pubblici) e il reverse charge in base al quale l’imposta viene pagata direttamente dall’acquirente. Al contrario, l’Irpef evasa dagli autonomi nel 2021 è risalita a 29,5 miliardi dai 28 stimati per l’anno prima, che però non fa testo essendo stato segnato dall’emergenza Covid che ha fermato gran parte delle attività per buona parte dell’anno. Da notare che la stima non tiene conto della sottodichiarazione degli 1,8 milioni di partite Iva che hanno optato per la flat tax, visto che loro non versano l’Irpef ma un’imposta sostitutiva. Le precedenti relazioni hanno mostrato come il regime forfettario induca a nascondere parte dei ricavi per non superare la soglia oltre la quale si perde il beneficio.

Il governo, come è noto, ritiene che la chiave per indurre la categoria a una maggiore fedeltà fiscale sia il nuovo concordato preventivo biennale, un accordo con le Entrate sulle tasse da pagare per quest’anno e il prossimo. Peccato che la misura, non bastando il maxi sconto fiscale già previsto per chi aderisce, sia stata arricchita last minute di un nuovo generoso condono per il nero fatto negli anni dal 2018 al 2022: firmando il concordato si otterrà la possibilità di mettersi in regola spendendo molto meno rispetto a quanto previsto dalla normale procedura del ravvedimento. L’amministrazione e gli esperti sperano soprattutto negli sviluppi dell’analisi del rischio evasione su scala massiva, con l’utilizzo di soluzioni di intelligenza artificiale e tecniche di machine learning, avviata dai governi Conte e Draghi e abbracciata pure da Meloni nonostante le scomposte uscite contro il “Grande fratello fiscale”. La relazione ricorda che proprio il decreto attuativo su accertamento e concordato ha in parte razionalizzato le norme in materia e poco dopo, a marzo, Entrate e Guardia di Finanza hanno firmato un Protocollo d’intesa con cui costituiscono una “Unità integrata permanente di analisi del rischio” con l’obiettivo di collaborare nella prevenzione e contrasto all’evasione fiscale. I risultati al momento non sono noti perché l’Agenzia non diffonde alcuna informazione sull’esito di quelle analisi.

Tornando alla relazione, un’analisi di lungo periodo del tax gap conferma una costante riduzione in valore assoluto dal 2001 al 2007 seguita da un nuovo aumento. La propensione a evadere, risalita gradualmente fino al 2014 e rimasta invariata tra 2014 e 2017, è scesa in maniera rilevante dal 2018 in poi. Al contrario sono andati sempre crescendo i mancati versamenti di imposte dichiarate, che per quanto marginali nel computo totale dell’evasione hanno via via fatto dell’amministrazione fiscale una specie di finanziaria che fa credito ai contribuenti senza chiedere garanzie. “Negli ultimi 20 anni”, nota il documento, “l’ammontare dei mancati versamenti passa da meno di 6 miliardi a circa 14 miliardi nel 2019” calando a 10,7 per il 2021, anno per il quale i dati sono però ancora provvisori, “mentre la percentuale di mancati versamenti sul tax gap complessivo passa da circa il 7% a circa il 22%“. L’incremento ha riguardato tutte le imposte, ma in particolar modo l’Iva. Per quanto riguarda l’Irpef si tratta di una quota residuale: 2 miliardi su 29,5 nel 2021. Come dire che il tax gap degli autonomi è determinato pochissimo dalla “impossibilità a pagare” spesso evocata dalla politica per giustificare sanatorie e costose (per lo Stato) rottamazioni e moltissimo dalla mancata dichiarazione di ricavi incassati.

Il successo nell’affrontare l’evasione dei “piccoli”, bacino elettorale del centrodestra che li ha coccolati con condoni e “paci fiscali” arrivando a definire le tasse di “pizzo di Stato”, sarà dirimente per il governo Meloni. Per non mettere a rischio il raggiungimento dei target del Recovery plan occorre che la Relazione del 2027 attesti che nel 2024 la propensione all’evasione nel suo complesso non ha superato il 15,7%. Come già detto, finora le stime sono confortanti. Ma si tratta appunto di stime “al netto di eventuali inversioni di tendenza che dovessero intervenire tra 2022 e 2024″, avverte il gruppo di esperti guidato da Rossi. E l’avvertenza inserita dal Mef nel Piano strutturale di bilancio, dove si ammette che nel 2023 c’è stata una “battuta d’arresto” nel miglioramento della compliance, dà da pensare.

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