Come da destino che accomuna tutti i grandi campioni, anche Max Verstappen annovera una discreta dose di detrattori. Ma anche il più acerrimo tra questi non può negare come il pilota olandese sia tutto tranne che un pupazzo. Gli si possono contestare atteggiamenti da bullo, una condotta talvolta sopra le righe, un nutrito repertorio di scorrettezze varie. Però, al netto di qualità sportive di eccellente fattura, Verstappen è un personaggio senza maschere né filtri. Merce sempre più rara in una Formula 1 che i padroni del vapore vogliono sempre più edulcorata, plastificata e anodina. Una Formula Bavaglio che va oltre il semplice concetto di punire comportamenti inappropriati.

Nel week-end del Gran Premio di Singapore Verstappen è stato sanzionato dalla Fia allo svolgimento di non meglio precisati lavori socialmente utili per una parolaccia pronunciata in conferenza stampa. Il primo caso nel Circus ma non nel motorsport, dove la Federazione ha inflitto 30mila euro di multa all’otto volte campione del mondo di rally Sebastien Ogier, macchiatosi nel rally dell’Acropoli dello stesso peccato dell’olandese. Nessuno intende lanciare improbabili campagne a favore del trash talking, obiettivamente fastidioso e per nulla educativo. La questione riguarda il senso delle proporzioni, che la Fia sembra non avere minimamente.

Partiamo proprio dal Codice sportivo internazionale e dall’articolo infranto, il 12.2.1k, che vieta “qualsiasi parola, atto o scritto che abbia cagionato un danno morale o una perdita alla Fia […] e più in generale all’interesse dello sport automobilistico e sui valori difesi dalla Fia”. Uniamolo alle dichiarazioni del presidente della Federazione Mohammed Ben Sulayem sul fatto che i piloti non sono rapper e che bisogna pensare anche ai bambini, “che guardano le gare e ascoltano anche del turpiloquio. Cosa gli stiamo insegnando sul nostro sport?”. Valori morali e bambini. La sensibilità di oggi è green, inclusiva, tollerante nei confronti di tutte le diversità. Tutto giusto, anzi, sacrosanto. Ai bambini si insegna il rispetto per il nostro pianeta, quindi qualcuno dovrebbe spiegare loro perché il partner principale della Formula 1 sia Aramco, la compagnia petrolifera di stato saudita che risulta essere l’azienda più inquinante al mondo per emissioni di carbonio.

Ai bambini si insegna il rispetto delle diversità, bisognerebbe quindi anche motivare perché si organizzano gare in paesi dove a Netflix è stata imposta la rimozione di tutti i contenuti omosessuali dalle produzioni destinate allo stato in questione, con tanto di minaccia di azioni penali. Ai bambini si insegna la tolleranza, e ancora una volta in Federazione potrebbero argomentare sugli affari a getto continuo stipulati con paesi che condannano i reati di opinione, discriminano le donne e la comunità Lgbt. Poi ci sarebbe il bancomat in comune di Formula One Group con Hamas: pertanto comincia a diventare difficile far districare i bambini tra bugie, mistificazioni e brandelli di verità.

Valore morale significa anche un linguaggio politicamente corretto. Ma è una correttezza della quale la Federazione è sempre stata la prima a farsene un baffo, quando ha vietato – pena sanzioni economiche di migliaia e migliaia di euro – scritte e riferimenti non autorizzati su caschi e magliette durante le premiazioni, si trattasse di bandiere arcobaleno, prese di posizione pro Ucraina o messaggi per il rispetto dei diritti civili. Ci si chiede inoltre dove siano i valori morali nelle fughe di notizie che danno in pasto all’opinione pubblica, ma prima ancora a tutti gli attori del paddock, scandali veri o presunti, come quello riguardante i coniugi Wolff, l’affare Horner-Red Bull o il sabotaggio della Mercedes ai danni di Lewis Hamilton. Gole profonde, spy-story, la logorante guerra di retrovia contro Liberty Media. Un ambiente profondamente immorale che si fa scudo dietro a una moralità di facciata.

È quindi impossibile non risultare solidali con Verstappen, o con Ogier, e non certo perché si voglia essere fan della volgarità. Ma i robottini non piacciono a nessuno, soprattutto in uno sport dove chi gareggia rischia la vita a oltre 300 chilometri orari. Soprattutto in un mondo delle corse dove chi ha fatto cose ben peggiori di un “fuck” pronunciato in conferenza stampa può continuare a girare nel Circus servito e riverito (ogni riferimento a Flavio Briatore non è puramente casuale). Perso Sebastian Vettel, rimangono solo Lewis Hamilton e Verstappen quali ultimi baluardi di una razza di piloti campioni (perché chiedere le barricate a Ocon o Tsunoda sarebbe ingiusto e inappropriato) senza maschera né paura. Specialmente di dire quello che si pensa.

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