Dal momento dell’assassinio del segretario generale di Hezbollah, Hassan Nasrallah, Israele ha attuato una strategia sistematica composta da due parti principali. Prima di tutto, ha mirato a svuotare il sud del Libano dalla sua popolazione, e successivamente ha preso di mira i sobborghi meridionali di Beirut con pesanti bombardamenti per dislocare anche lì i residenti. Parallelamente a queste azioni militari, Israele ha iniziato a isolare il Libano controllando le sue frontiere marittime, aeree e terrestri. Navi da guerra israeliane si sono posizionate al largo della costa di Beirut, e sono state imposte restrizioni all’aeroporto di Beirut, vietando agli aerei iraniani di atterrare. Anche il valico di confine di Masnaa con la Siria è stato colpito, giustificando l’attacco con l’accusa che fosse utilizzato per supporto logistico alle armi di Hezbollah. Tutto ciò fa parte di una mossa più ampia da parte di Israele per attuare il suo obiettivo principale: interrompere il collegamento tra Beirut e Teheran.

Hezbollah ora si trova di fronte a una situazione estremamente grave, con il territorio del Libano internamente frammentato. Il sud è separato dai sobborghi meridionali di Beirut, creando una crisi senza precedenti su fronti umanitari, di sicurezza e militari. L’attuale focus di Israele sulla frontiera libanese, con l’attacco ai roccaforti di Hezbollah nel sud del Libano e nei sobborghi di Beirut, ha anche l’obiettivo di rimodellare il panorama geografico e demografico del Libano. Con il peggiorare della crisi umanitaria, Israele sta cercando di svuotare le aree controllate da Hezbollah dalla loro base di sostegno popolare, in un approccio simile a quello attuato nella Striscia di Gaza. La dottrina di sicurezza israeliana non vuole affrontare in futuro un territorio geograficamente complesso che fornisca sia una base di popolazione sia una copertura operativa per i gruppi militanti.

Il passaggio dell’attenzione di Israele dalla Striscia di Gaza al Libano, dopo aver già contenuto Gaza e controllato in gran parte la Cisgiordania, suggerisce che le operazioni in Libano continueranno a intensificarsi. Tuttavia, una invasione di terra rimane un’opzione complessa e rischiosa, pertanto Israele probabilmente continuerà a fare affidamento sui bombardamenti aerei e a tagliare le linee di rifornimento per impedire che Hezbollah riceva supporto logistico dall’esterno. Contemporaneamente, Israele considera la Siria come una delle frontiere aperte sin dall’inizio della guerra. Con l’escalation del conflitto in Libano, è probabile che aumentino anche gli attacchi in Siria, in particolare contro le fazioni irachene alleate dell’Iran.

A livello regionale, la possibilità di una guerra totale è tornata al centro del dibattito con il rinnovarsi degli attacchi iraniani contro Israele, soprattutto in vista di una forte risposta israeliana che potrebbe superare le regole di ingaggio tradizionali a cui l’Iran si era attenuto nel suo ultimo attacco. Tuttavia, è necessario rivedere il concetto di guerra totale e la sua natura. Dopo un anno di conflitto regionale in corso, è chiaro che la guerra totale si configura come un confronto diretto tra Iran e Israele. Tuttavia, il successo di Israele nell’isolare e neutralizzare le frontiere circostanti – da Gaza alla Cisgiordania, dal Golan al Libano – indica che ora è Israele a controllare il tempo e l’entità di questa resa dei conti, non più l’Iran.

Dopo l’invasione dell’Iraq da parte degli Stati Uniti nel 2004, si fecero sempre più insistenti le richieste di un attacco all’Iran, ma i fallimenti della guerra del 2006 contro Hezbollah e della guerra del 2008 contro Hamas hanno ritardato una simile mossa. Oggi, la capacità di Israele di reprimere Gaza e Hamas, unita ai suoi attacchi contro Hezbollah in Libano, limita gravemente le opzioni dell’Iran su come spostare il conflitto nel territorio israeliano e aumentare i costi della guerra per Israele.

Dalla morte del presidente iraniano Ebrahim Raisi, sono emersi interrogativi sulla situazione interna dell’Iran, che appare divisa. Da un lato, c’è una fazione che cerca di ricostruire i rapporti con l’Occidente per evitare un colpo devastante all’Iran; dall’altro, c’è il Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica (Irgc), che insiste sul fatto che la sua politica regionale dia a Teheran il suo potere negoziale. La strategia israeliana attuale è quella di indebolire l’influenza dell’Irgc nella regione, smantellando i suoi strumenti e diminuendo la sua capacità di minacciare la sicurezza israeliana. Questo approccio mirato è simile alla narrativa israeliana secondo cui la sua guerra a Gaza è contro Hamas, in Libano contro Hezbollah, nello Yemen contro gli Houthi e in Iraq contro le Forze di Mobilitazione Popolare. In Iran, il prossimo obiettivo è l’Irgc stesso, come indicato dall’ambasciatrice statunitense presso le Nazioni Unite, che ha recentemente sottolineato la concentrazione delle minacce direttamente sull’Irgc, aumentando così la probabilità di un attacco israeliano alle sue basi, fabbriche di armi e anche infrastrutture energetiche cruciali.

In sintesi, la strategia di Israele di isolare e indebolire ogni fronte individualmente sta rafforzando la sua sicurezza e preparandola a colpire direttamente e con maggiore aggressività l’Iran.

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