La scomparsa di Johan Neeskens è l’ultimo atto della maledizione che accompagna la grande Olanda anni Settanta. Una squadra meravigliosa, protagonista della rivoluzione più importante della storia del calcio, ma sfortunata in campo – le due finali iridate perse contro i paesi organizzatori in Germania 1974 e Argentina 1978 – e, soprattutto, attraversata da lutti e tragedie. Il portiere Jan Jongbloed, maglia numero 8 in Germania, è morto il 30 agosto 2023, all’età di 82 anni. Il mondo lo aveva scoperto nel 1974 quando, trentaquattrenne, era stato scelto come titolare da Rinus Michels per la sua bravura con i piedi. Jongbloed fu un precursore del ruolo, grazie ai trascorsi giovanili da attaccante. Parava con le mani, senza guanti “perché così si sente meglio il pallone”. Amava i suoi spazi: rifiutò il trasferimento all’Ajax per non rinunciare alla tradizionale giornata dedicata alla pesca, vera passione della sua vita. A 45 anni fu costretto a ritirarsi dopo l’infarto che lo colpì durante un match del suo Go Ahead Eagles contro l’Harleem. Pochi mesi prima, il 23 settembre 1984, suo figlio Eric-Jan, 21 anni, anche lui portiere, era morto tra i pali, ucciso da un fulmine durante la gara Rood-Wit A-DWS.

Jongbloed era il primo nome della formazione base olandese, Pieter Robert Rensenbrink l’ultimo: l’ala sinistra, come si usava a quei tempi. Il dribbling è stato il pezzo migliore del repertorio di Rensenbrink, nato ad Amsterdam e icona dell’Anderlecht, dove giocò dal 1971 al 1980, segnando 176 gol. Nel mondiale 1978 realizzò 5 reti, con il fiore all’occhiello della tripletta all’Iran. Nella finale contro l’Argentina, con il risultato inchiodato sull’1-1, al 90’ Rensenbrink colpì il palo: per una questione di millimetri, l’Olanda mancò il 2-1 che avrebbe consegnato il titolo agli “arancioni”. Nei supplementari, superato lo spavento, l’Argentina, trascinata dai tifosi, trionfò 3-1. Il gol mancato da Rensenbrink avrebbe potuto cambiare anche la Storia vera, con la maiuscola. I generali della giunta militare che comandava a Buenos Aires avevano infatti scommesso sul buon esito del mondiale per continuare l’opera di macelleria che avrebbe prodotto trentamila desaparecidos. Rensenbinck è morto di SLA il 24 gennaio 2020. Aveva 72 anni ed era malato dal 2012.

Anche Wim Suurbier, il terzino destro, è scomparso nel 2020. Aveva 75 anni e una vita intensa alle spalle. Suurbier è stato il primo difensore moderno del calcio olandese. Nato attaccante, nelle giovanili arretrò la posizione, ma continuò a fare le sue sgroppate lungo la fascia. Amava godersi la vita: donne, alcol e notti bianche. Negli Usa, divenne amico di George Best, il re delle trasgressioni. Investimenti sbagliati e le spese folli della moglie americana azzerarono il suo patrimonio. Suurbier rifiutò qualsiasi forma di aiuto e cercò di risollevarsi con le proprie forze. Al rientro in Olanda, trascorse in solitudine gli ultimi anni. A fine aprile del 2020, fu trovato dalla ex moglie Maja nel suo appartamento di Amstelveen in fin di vita, a causa di un’emorragia cerebrale. Morì senza mai riprendere conoscenza il 12 luglio 2020.

Piet Schrijvers avrebbe dovuto giocare il mondiale 1974 da titolare, ma Michels gli preferì Jongbloed. Nato nel 1946 alla periferia di Utrecht, aveva il fisico massiccio: pesava quasi un quintale. La sua specialità era parare i rigori. Esploso nel Twente, indossò la maglia dell’Ajax dal 1971 al 1980. Dopo Germania 1974, conquistò il posto fisso in nazionale, ma alla vigilia di Argentina 1978, fu nuovamente retrocesso in panchina, sempre per dare spazio a Jongbloed. Schrijvers è scomparso il 7 settembre 2022: era malato di Alzheimer, diagnosticato nel 2019. Anche Win Jansen, che il giorno della finale contro la Germania giocò da centrocampista centrale, è stato portato via dall’Alzheimer: morì il 25 gennaio 2022, all’età di 75 anni. Di lui disse un giorno Crujiff: “È uno dei soli quattro uomini al mondo che vale la pena ascoltare quando parlano di calcio”. Originario di Rotterdam, indossò per quindici stagioni la maglia del Feyenoord. Quando nel 1980, all’età di 34 anni, passò all’Ajax, fece il suo esordio con i “lancieri” proprio contro la sua ex squadra. I tifosi del Feyenoord non gradirono e fu colpito da una palla di neve.

La storia di Johan Cruijff è quella di uno dei miti della storia del calcio, forse il numero cinque di sempre dopo Pelé, Maradona, Di Stefano e Messi. È stato un grandissimo nella doppia versione, giocatore e allenatore. A livello culturale, è stato il number one in assoluto, capace di essere il leader sul campo della rivoluzione olandese e di influenzare il futuro anche da coach: Pep Guardiola è un figlio di Cruijff. Il denaro non fu mai problema per il Profeta del Gol, come lo ribattezzò Sandro Ciotti in un documentario del 1976, ma la salute cominciò a dargli problemi all’età di 44 anni. Grande fumatore, fu costretto nel 1991 a sottoporsi d’urgenza a un’operazione di by-pass. Nel 1997 ebbe nuovi problemi cardiaci che lo costrinsero all’addio alla panchina. Nell’ottobre 2015, gli fu diagnosticato un cancro ai polmoni e cinque mesi dopo, il 24 marzo 2016, morì, all’età di 68 anni.

Lo stesso male si è portato via il 10 febbraio 2017 Piet Keizer, attaccante, in panchina nella finale contro la Germania. Aveva 74 anni ed è passato alla storia per essere stato il primo calciatore olandese professionista. Solo una maglia nella sua carriera: quella dell’Ajax. All’inizio della stagione 1973-74, il nuovo allenatore, George Knobel, annunciò che il capitano sarebbe stato votato dai giocatori: il prescelto fu lui. Cruijff, degradato a sorpresa, salutò l’Ajax e si trasferì a Barcellona. Keizer indossò la fascia solo per un anno. La stagione successiva, un altro allenatore, Hans Kraay, rifiutò la richiesta di Piet di cambiare ruolo. Keizer stracciò il contratto e si ritirò, giurando di non toccare più un pallone.

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