Quando il corpo è stato trovato nel fiume Po, avvolto in tre sacchi di plastica neri, la donna aveva tra i 2o e i 30 anni. Era alta 1.65, bionda e, con ogni probabilità, di carnagione bianca. Segni particolari: due tatuaggi, uno scorpione e una pantera. Le cronache locali ne hanno parlato appena e dal 25 maggio 2009, giorno del ritrovamento a Carbonara di Po (Mantova), nessuno è mai riuscito a darle un nome e un cognome. Quella che ormai è conosciuta come “la donna con i tatoo” è solo una delle 46 vittime trovate morte in circostanze sospette in sei Paesi Europei e che da anni non si riescono a identificare. Ora l’Interpol ha deciso di lanciare un appello internazionale: “Vogliamo dare risposte alle famiglie e rendere giustizia alle vittime”, ha dichiarato il segretario generale Jürgen Stock. Ma non possiamo farlo da soli. Ecco perché stiamo chiedendo al pubblico di unirsi a noi. Il loro aiuto può fare la differenza”. Il primo appello “Identify me” (Identificami) risale a maggio 2023: riguardava 22 cold case e ottenne 1.800 segnalazioni. Ora la ricerca viene ampliata, includendo casi irrisolti in Belgio, Germania, Olanda, Francia, Italia e Spagna. L’appello è perché chiunque abbia o cerchi informazioni possa condividerle con le autorità.

Per il nostro Paese, sono quattro i casi ancora insoluti. Oltre alla “donna con i tatuaggi”, l’Interpol ha diffuso la scheda de “la donna con l’orologio verde“, modello vintage della Swatch. Il suo corpo venne ritrovato ad Asso, vicino a Como, il 23 gennaio del 2004: nessun segno particolare, ma per lei si è riusciti a fare una ricostruzione facciale. Si ipotizza, invece, che fosse originaria del Sud America la vittima trovata in una scatola in via dei Fregoso a Genova: era il 14 gennaio del 2001 e indossava una camicia da notte di colore chiaro. Di lei si sa poco o niente: aveva i capelli e gli occhi scuri e tre piercing in ogni lobo. Età stimata: tra i 30 e i 40 anni. La quarta vittima è stata soprannominata “la viaggiatrice”: è stata trovata impiccata a un albero di un parco a Prato, il 13 novembre 2007. Accanto al corpo, una borsa con i seguenti oggetti: una mappa di Vancouver con cerchiato il Victoria Conference Centre e la scritta “Conference 2427 Sept” (probabilmente la conferenza “Free and Open Source Software for Geospatial”); una mappa dell’aeroporto di Copenhagen; una copia della rivista “Scientific American” con una richiesta di abbonamento e un indirizzo postale di Payson (Arizona); un articolo sull’uso del laser in dermatologia e un indirizzo di Cambridge; le pagine di una rivista con una fotografia della famiglia reale danese; un’etichetta per i bagagli della Scandinavian Airlines (SAS). Niente di più, né gioielli né documenti.

“Da qualche parte nel mondo”, dicono le testimonial che sostengono la campagna in un video diffuso nelle ultime ore, “queste donne devono avere una famiglia e degli amici, fratelli e sorelle, padri e madri, forse anche dei figli. Meritano risposte. Voi potete aiutarle. Potete aiutarle. Questi volti, abiti, gioielli potrebbero esservi familiari”. Un anno fa, dopo il primo lancio della campagna, un caso è stato risolto: i familiari di Rita Roberts nel Regno Unito hanno contattato il portale dopo aver riconosciuto il suo tatuaggio dai notiziari: la giovane donna aveva 31 anni quando è partita da Cardiff, Galles, nel febbraio 1992 e il suo corpo non identificato è stato trovato ad Anversa il 3 giugno 1992. Un’indagine ha stabilito che era stata vittima di omicidio. Rita come la ragazza con i tatuaggi, la donna nella scatola, quella con l’orologio verde e la viaggiatrice: tutte e loro 46, è l’appello dell’Interpol, “aiutateci a portarle a casa”.

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Precedente

Reati su minori, in Italia +34% in dieci anni: “Boom di maltrattamenti in famiglia”. I dati del dossier Indifesa di Terre des hommes

next
Articolo Successivo

Legati a un letto come cura: in Senato il ddl che facilita la contenzione meccanica. L’appello: “Tragica nostalgia dei manicomi”

next