“Finire vittime alle proprie macchinazioni non è simpatico, né piacevole. Colpiscono davvero quei termini: ‘infami’. Sono termini che hanno un riflesso antico, ma è un linguaggio che ha una sua coerenza perché alla fine è il linguaggio che si usa normalmente fra rapinatori. E qui stavano rapinando un bel pezzo dello spirito costituzionale. Quindi, prendiamo atto del fatto e del linguaggio. Questa è la realtà”. Così a Otto e mezzo (La7) Pier Luigi Bersani commenta una parte del contenuto della chat interna a Fratelli d’Italia, svelata da Giacomo Salvini sul Fatto Quotidiano.
Nella conversazione Giorgia Meloni è infuriata coi suoi per la fuga di notizie sulla convocazione dei parlamentari di Fdi in vista dell’elezione del nuovo giudice della Corte Costituzionale (“L’infamia di pochi mi costringe a non avere rapporti con i gruppi. Io alla fine mollerò per questo. Perché fare sta vita per far eleggere sta gente anche no”).
L’ex ministro commenta anche la fumata nera per l’elezione del giudice della Consulta: dopo 7 scrutini andati a vuoto, l’ottava seduta di ieri richiedeva 363 voti ma i numeri sono mancati, motivo per cui la maggioranza ha stabilito di votare scheda bianca per non bruciare il candidato di Giorgia Meloni, il suo consigliere giuridico Francesco Saverio Marini, consulente nella redazione della riforma sul premierato.
“Per Meloni questa è una sconfitta grave e seria che è finita nel ridicolo – osserva Bersani – perché lei è rimasta vittima delle sue stesse macchinazioni. Io sono convinto che il professor Marini sarà in grado di spiegare a Giorgia Meloni, e forse anche a se stesso, che per eleggere un giudice della Corte Costituzionale ci vuole un quorum superiore a quello che serve per il presidente della Repubblica: due terzi, poi tre quinti, non la maggioranza assoluta. E questo – puntualizza – la dice lunga sull’esigenza impellente, dal profondo significato costituzionale, nell’avere per quell’istituzione di garanzia un dialogo fra maggioranza e opposizione. E loro hanno tentato di fare il sorpresone di votarselo da soli, poi raccattando qualche voto disperso (non so come) da parte dell’opposizione. E sono finiti a farsi l’Aventino da soli, perché poi si sono astenuti”.
Bersani cita quanto avvenne nel 2015: “All’epoca all’opposizione c’era un gruppo che si chiamava Cinque Stelle e tutti i giorni volavano gli stracci, altro che adesso. Eppure dopo una trentina di votazioni (32, ndr) si arrivò a condividere la proposta scegliendo naturalmente delle figure che per autorevolezza e indipendenza fossero garanzia di tutti. Abbandonare questo merito significherebbe introdurre una ferita di primissimo livello per le prospettive democratiche“.