Scuola

Caos graduatorie nei concorsi scuola: Valditara incolpa l’Europa, ma l’Ue smentisce

Valditara: “Ce lo chiede l’Europa”; “Non è vero” risponde la Commissione europea a un giovane docente precario che chiede spiegazioni. La scuola di oggi riparte da qui. La figuraccia della sconfessione si aggiunge ai disagi generati dalla girandola di docenti e il caos delle cattedre; polemiche e ricorsi anche sulle nomine in ruolo che danno serenità ai docenti e possono garantire a famiglie e istituzioni quella continuità che da troppi anni è venuta meno, peggiorando la qualità del servizio offerto dalla scuola.

Nella scuola i docenti si reclutano mediante concorso, come stabilisce l’art. 97 della Costituzione: “[…] Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge.” Dunque nel reclutamento degli insegnanti il “merito” si traduce nel superamento di una procedura concorsuale e del periodo di prova successivo. Fino agli anni ‘80 la cadenza dei concorsi è stata biennale, chi non lo superava affrontava altri due anni di precariato e lavoretti in attesa di riprovarci. Ma aveva la certezza che avrebbe avuto un’altra occasione. Poi è cominciata la stagione delle leggi e leggine per immettere in ruolo precari diventati “storici” perché avevano accumulato tanti anni di lavoro, ma un concorso non l’avevano mai passato. Per conseguenza, i concorsi hanno cominciato a perdere la cadenza “naturale” fino a diventare eventi quasi eccezionali. La situazione ha generato altro precariato e ha concorso alla fuga dalla scuola di tanti giovani laureati con belle idee e speranze deluse. Le graduatorie degli “aventi diritto” si sono sovrapposte le une alle altre in una babele che ha prodotto guasti e ingiustizie.

Gli ultimi concorsi completati – uno riservato a precari con almeno tre anni di servizio, l’altro aperto a tutti – è stato bandito nel 2020, concluso nel 2023 con la pubblicazione delle Graduatorie di Merito: sono a scorrimento. Chi è in lista, cioè è idoneo e abilitato all’insegnamento (perché ha superato le prove del concorso ed è in possesso di tutti i titoli di studio necessari) sa che prima o poi gli/le toccherà; fatto salvo il calo demografico: i posti diminuiscono perché la denatalità comincia a far sentire i suoi pesanti effetti anche nelle scuole: l’anno scorso il numero degli studenti è sceso sotto gli 8 milioni, accompagnando il declino delle nascite. In tutti i casi il Ministero ha stabilito come obiettivo 45.124 assunzioni entro la fine del 2024.

Finalmente le graduatorie dei concorsi del 2020 arriveranno all’esaurimento. Macché, il Ministro si è subito inventato una regola nuova – congelare la graduatoria e dare la precedenza ai vincitori di un nuovo concorso -, ne attribuisce la responsabilità all’Europa e il bailamme ricomincia!

Provo a spiegarlo in breve: dato che l’Ue ha denunciato l’Italia dinanzi alla Corte di Giustizia europea per le politiche generatrici di precariato, con l’occasione del Pnrr il Ministero ha previsto nuovi concorsi per stabilizzare gli insegnanti precari non vincitori dei concorsi precedenti e reclutarne di nuovi a tempo indeterminato. Le procedure sono alla conclusione e già sono pubblicate quasi tutte le graduatorie. Questi nuovi concorsi non sono abilitanti: per ottenere l’abilitazione i vincitori – come peraltro tutti coloro che vorranno accedere alla carriera scolastica – devono sostenere corsi aggiuntivi e pagarseli a caro prezzo: proteste e reclami, ricorsi, avvocati e tribunali al lavoro. Però il Ministro ha attribuito loro la precedenza assoluta nell’assegnazione delle 45.124 cattedre vacanti e delle altre 30mila circa previste per il prossimo anno scolastico. Così ha scavalcato gli abilitati nelle graduatorie dei concorsi 2020, in attesa: altri ricorsi, carte bollate. Insomma, le solite storie sulla pelle di persone che lavorano – spesso anche bene – senza alcuna garanzia di serenità, stabilità e riconoscimento.

Alle proteste il Ministro il 18 settembre scorso, in risposta a un’interrogazione parlamentare di +Europa, ha risposto: “Abbiamo chiesto un nuovo confronto con la Commissione Europea per tenere conto di situazioni specifiche del caso italiano che inizialmente non sono state tenute in debito conto”, lasciando intendere che la responsabilità della scelta veniva da Bruxelles. Il concetto è poi stato ribadito qualche giorno dopo dalla sottosegretaria Frassinetti, a una nuova interrogazione dell’on. Piccolotti (Avs). L’esponente del governo ha spiegato che quest’anno non è stato possibile utilizzare tutti i 65.000 posti disponibili per le assunzioni a causa del vincolo imposto dal precedente governo con la Commissione Europea, che obbliga ad assumere 70.000 docenti tramite i concorsi Pnrr.

Così uno dei docenti che il concorso del 2020 l’ha superato – si chiama Alessio Giaccone, docente di Mondovì – ha preso carta e penna e ha scritto alla Commissione Europea per sapere se era vero. A sorpresa, la Commissione Europea gli ha risposto a stretto giro di email che: “[la CE] non ha alcuna competenza diretta per imporre all’Italia di assumere insegnanti a tempo determinato su base permanente, né di applicare una determinata procedura o determinati criteri per l’assunzione, […] ma lascia agli Stati membri la facoltà di decidere come ottemperare a tale obbligo. […] Spetta agli Stati membri stabilire le condizioni alle quali i contratti o i rapporti di lavoro a tempo determinato devono essere considerati contratti o rapporti a tempo indeterminato. […] L’Ue deve rispettare pienamente la responsabilità degli Stati membri nell’organizzazione dei sistemi educativi.” In modo burocraticamente elegante, la Commissione europea ha detto che il governo, dunque il Ministro, ha deciso in assoluta autonomia di scavalcare il diritto acquisito dagli idonei abilitati del concorso 2020.

Sembrano questioni certamente di forte impatto su chi le subisce, ma dalle conseguenze irrilevanti sull’istituzione scolastica. Niente di più falso: la scuola ha bisogno di certezze, di regole a cui tutti debbono attenersi, di decisioni che rispettino le leggi e non sfidino la logica. Il “nomadismo docente” uccide la continuità, mortifica la professionalità, limita la libertà di insegnamento, uno dei fondamenti della democrazia. Che sia per questo che Valditara…?