“Non rompiamo il fronte, non partecipiamo al voto”, aveva comunicato ieri Carlo Calenda ai suoi parlamentari indicando la linea condivisa con gli altri partiti di opposizione sul voto per l’elezione del giudice della Corte costituzionale. Una mossa che aveva costretto i partiti governo – che hanno cercato fino alla fine di eleggere martedì Francesco Saverio Marini – a evitare rischi: scheda bianca e voto rinviato. “Abbiamo fermato la forzatura“, aveva commentato la segretaria del Pd Elly Schlein mentre Giuseppe Conte parlava di “blitz” sventato.
Compattezza delle opposizioni che però vacilla poche ore dopo. Calenda, infatti, ci ripensa e apre all’elezione alla Consulta del consigliere giuridico di Giorgia Meloni, costituzionalista e soprattutto consulente nella redazione della riforma sul premierato. “La persona che vuole nominare Meloni alla Consulta non è un pericoloso fascista, è un professore di diritto costituzionale che ha lavorato con la sinistra, con Zingaretti, e ha lavorato al premierato con la destra. È ciò rischioso perché deve giudicare il premierato forse? No, non lo è perché si deve astenere nel caso in cui il premierato venisse preso in analisi dalla Corte Costituzionale”, dice Calenda in un video sui social.
“Ieri abbiamo dato un segnale di compattezza – ricorda il segretario di Azione – e siamo usciti ma non si può andare avanti così perché la Consulta rischia di non poter più funzionare da dicembre in poi”. Calenda, così, rinuncia alla battaglia: “Ci sono quattro giudici da nominare, il governo deve dimostrare un minimo di apertura verso le opposizioni e le opposizioni la devono piantare di fare l’Aventino”. “Noi la finiremo perché così non si va avanti“, conclude Calenda.
La stampella di Azione potrebbe essere determinante per la destra. Per elegge il giudice nella riunione del Parlamento in seduta comune serve la maggioranza dei 3/5 dei membri, cioè 363 voti. Numeri alla mano, le forze di governo – da sole – non hanno i numeri necessari. Sommando ai 355 parlamentari di maggioranza, i centristi Cesa e Minardo oltre Carfagna, Gelmini e Versace (fresche di uscita proprio dal partito di Calenda) si arriva a quota 360. Quindi a meno 3 dall’obiettivo. Nonostante il fuggi fuggi da Azione il partito di Carlo Calenda può ancora contare su 10 deputati e 2 senatori, quindi diventare estremamente utile e determinante per il governo Meloni e per l’elezione di Marini alla Consulta. Da qui l’importanza dell’apertura di Azione che prende così le distanze dalla posizione concordata con gli altri partiti di opposizione.