Politica

Processo Open Arms, parlamentari leghisti in piazza a Palermo il 18 a sostegno di Salvini

In piazza a sostegno di Matteo Salvini nel giorno dell’arringa della sua difesa nel processo Open Arms. In un remake della manifestazione di deputati e senatori del Popolo della libertà davanti al palazzo di giustizia di Milano nel giorno di un’udienza del processo Ruby che vedeva imputato Silvio Berlusconi, i parlamentari della Lega hanno organizzato un sit-in per il loro leader imputato per sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio. La protesta “ribadirà che la difesa dell’Italia non è un reato, senza aizzare la piazza in modo irresponsabile contro la magistratura e lo Stato come fatto in passato da altri, per esempio a Riace dopo la condanna in primo grado dell’attuale europarlamentare di sinistra Mimmo Lucano (che poi è stato condannato anche in appello)”, ha spiegato il partito in una nota annunciando il corteo che si terrà mentre l’avvocata Giulia Bongiorno, parlamentare leghista, chiederà l’assoluzione di Salvini.

L’annuncio è arrivato a neanche 48 ore dall’ospitata del ministro delle Infrastrutture nella prima puntata de Lo Stato delle cose su Rai Tre. In quell’occasione, intervistato da Massimo Giletti, Salvini aveva detto di voler tenere i toni bassi attendendo il verdetto dei giudici. Il procuratore aggiunto Marzia Sabella e i pm Geri Ferrara e Giorgia Righi hanno chiesto di infliggere una pena a 6 anni di reclusione per il leader della Lega che all’epoca, da ministro dell’Interno, impedì l’assegnazione di un porto sicuro alla nave della ong con 147 migranti a bordo.

Nell’agosto 2019 i provvedimenti di Salvini portarono le persone soccorse in mare a essere tenute a bordo dell’imbarcazione senza poter mettere piede a terra per 19 giorni, riuscendo a farlo solo dopo l’intervento della procura di Agrigento. “La persona in mare è da salvare – ha detto Ferrara nella requisitoria – ed è irrilevante la sua classificazione: migrante, componente di un equipaggio, passeggero. Per il diritto internazionale della convenzione Sar (“Search and rescue”, in italiano “ricerca e salvataggio”, ndr) anche un trafficante di essere umani o un terrorista va salvato poi se è il caso la giustizia fa il suo corso”. In questo contesto “è solo la terraferma a essere un Pos, il posto più sicuro”, ha spiegato il magistrato.

Anche nel caso di uno sbarco a terra, tuttavia, vanno fatti alcuni distinguo: “Non tutti i Paesi possono essere considerati un porto sicuro – ha detto ancora -, perché non in tutti i Paesi vigono le regole democratiche e il rispetto dei diritti umani. La Libia e la Tunisia non sono Paesi in cui si può applicare un Pos”. Il punto attorno al quale ruota il processo è la paternità della decisione di non far sbarcare i migranti. Salvini si è sempre difeso affermando che si è trattato di una decisione collegiale, con tutto il Consiglio dei ministri del primo governo Conte che era d’accordo. Secondo la Procura, invece, sulla questione non ci sono dubbi: “Quando Salvini diventa ministro dell’Interno le decisioni sulla gestione degli sbarchi e del rilascio dei Pos vengono spostate dal Dipartimento libertà civili e immigrazione all’ufficio di gabinetto del ministro e in particolare è il ministro a decidere. Questo è l’elemento chiave”.