Poco di nuovo sotto il sole. Le frasi sull’aggiornamento dei valori catastali delle case ristrutturare con i bonus pubblici pronunciate martedì da Giancarlo Giorgetti in audizione sul Piano strutturale di bilancio hanno causato un certo scompiglio politico. Ma in concreto non si tratta di una novità. La scorsa legge di Bilancio, come ricordato dallo stesso ministro dell’Economia rispondendo alle domande dei parlamentari, aveva già disposto che l’Agenzia delle Entrate mettesse nel mirino i proprietari dei circa 496mila appartamenti e villette su cui sono stati effettuati lavori pagati con il Superbonus. Con l’obiettivo di verificare che avessero presentato la necessaria “dichiarazione di variazione dello stato dei beni” anche ai fini di “eventuali effetti sulla rendita dell’immobile presente in atti nel catasto dei fabbricati”. Nulla di inatteso: se una ristrutturazione aumenta notevolmente la rendita catastale della casa o addirittura comporta un cambio di categoria, per esempio dalla classe A4 che comprende le abitazioni di tipo popolare alla A3 (abitazioni di tipo economico) è palese – ed era già previsto – che la variazione vada comunicata.

Perché allora il ministro leghista ha ribadito previsioni già note, spiegando che si andrà a “verificare” e “se non li hanno aggiornati vuol dire che ci saranno benefici a favore dei Comuni” che come è noto riscuotono l’Imu sulle seconde case? La prima possibile spiegazione è che le verifiche svolte dalle Entrate – che in base al comma 86 della manovra 2024 avrebbero dovuto “inviare al contribuente un’apposita comunicazione al fine di sollecitarlo all’adempimento previsto” – abbiano portato finora scarsi risultati. E che al governo, alle prese con la messa a punto di una manovra assai complicata da finanziare preservando i saldi di bilancio concordato con la Ue, facciano gola i possibili introiti aggiuntivi, seppure non quantificati (“per motivi prudenziali”) nella relazione tecnica dell’ultima manovra.

Un’altra ipotesi pare però più solida. Giorgetti ha parlato dell’aggiornamento degli archivi catastali per includere le “case fantasma” e quelle migliorate grazie agli incentivi fiscali inserendolo tra le azioni di riforma previste dal Piano per “rendere il sistema fiscale più efficiente”. Quegli interventi sarebbero dunque – insieme a nuovi interventi su giustizia, Pa, digitalizzazione, concorrenza e “ambiente imprenditoriale” – parte delle azioni che Roma promette di mettere in campo per ottenere da Bruxelles la possibilità di spalmare su sette anni, invece di quattro, i tagli richiesti dal nuovo Patto di stabilità. Richiesta che è ancora oggetto di trattative con la Ue. Il testo del Piano anche su questo punto è decisamente criptico: si limita ad annunciare “una serie di nuove misure” che “senza produrre effetti sulla finanza pubblica“, quindi in teoria senza alcun aumento di gettito, possano “rimuovere barriere informative e amministrative e sostenere la decarbonizzazione” del sistema immobiliare. Tra queste si cita anche l’intenzione di rendere “pubblico, accessibile e integrato con il catasto l’archivio ‘Sistema Informativo sugli Attestati di Prestazione Energetica’”.

Il sottosegretario al Mef Federico Freni mercoledì ha tradotto la frase spiegando che “si tratta di garantire l’interoperabilità delle banche dati che mettono insieme l’aggiornamento catastale e l’usufruire dei bonus edilizi”. Senza però prevedere, come specificato anche da Giorgetti per tener buona Confedilizia e i propri alleati, alcun aggiornamento dei dati catastali ai valori di mercato, più volte chiesto dalla Commissione e dall’Ocse e sempre respinto dal centrodestra. Che sembra indifferente al fatto che la situazione attuale, congelata alla fine degli anni Ottanta, favorisce chi ha appartamenti di pregio in zone centrali a scapito di chi possiede una casa nuova in periferia o nelle aree interne del Sud Italia.

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