Un anno dal 7 ottobre. La Palestina e il suo popolo sono vittime di una pulizia etnica cominciata alla fine dell’800 quando iniziò il progetto coloniale insediativo sionista. Un progetto che culmina con la Nakba, la più imponente operazione di pulizia etnica e la fondazione dello Stato d’Israele proprio sulla terra dei palestinesi. Migliaia e migliaia di palestinesi dovettero fuggire. L’obiettivo sionista era quello di allontanare quanti più palestinesi così da poter creare uno stato ebraico.

Con la Nakba vi fu un connubio tra genocidio ed urbicidio, distruzione di un popolo e della sua terra, di case e villaggi. Alla fine del 1948 la gran parte della popolazione araba della Palestina era stata annientata per eliminare i residui di arabicità e farne una propaggine dell’Europa occidentale. La Nakba non fu soltanto un esproprio criminale di terra ma il tentativo di rendere impossibile la ricostruzione di una nazione palestinese.

La pulizia etnica continuò fino al 1967 con l’instaurazione di un regime militare di occupazione che dura sino ad oggi: un controllo assoluto sulla vita delle persone con espulsioni senza motivo, arresti senza processo, uccisioni e coprifuoco a discrezione degli occupanti, saccheggio di case ed attività produttive, chiusura di scuole e luoghi di lavoro. E i governi occidentali la chiamano l’unica democrazia del Medio oriente.

Di fronte alla resistenza che nasceva sui territori, Israele ha costruito il mito di essere un paese isolato che per tale motivo ha bisogno di aiuti militari illimitati con la finalità, in realtà, di espandersi sempre di più un poco alla volta e costruire la “grande Israele”. Dagli inizi degli anni 80 la situazione diviene ancora più umiliante per i palestinesi privati di ogni diritto e che dipendono ogni giorno dai capricci dell’occupante. Un popolo colonizzato che reagisce con le intifada represse con una violenza feroce.

I presunti accordi di pace saranno tutti a perdere per il popolo palestinese. Un po’ di autonomia per la perdita di ogni possibilità nel futuro di vedere restituite terre, ritorno dei profughi e costituzione di uno Stato che sembra sempre più un miraggio. Di fronte ad abusi, occupazione infinita, colonizzazioni e orrore è cresciuto l’odio e l’organizzazione di una resistenza sempre più agguerrita. Israele diviene sempre di più uno stato etnico in cui l’arabo da lingua di stato diviene solo lingua protetta e con i diritti negati per chi è palestinese: colonizzazione e legislazione discriminatoria nei confronti di palestinesi ed arabi.

È evidente che le morti civili dell’attacco del 7 ottobre vanno condannate, ma quel giorno è stato utilizzato come pretesto per attuare politiche genocide a Gaza, un pretesto per gli Stati Uniti e gli alleati di riaffermare la presenza militare e non solo in Medio oriente, un pretesto per alcuni paesi europei per limitare le libertà democratiche in nome di una nuova guerra al terrorismo: come ad esempio le condotte della polizia a Berlino che ha vietato di cantare in palestinese e portare bandiere palestinesi, la polizia negli Stati Uniti che ha arrestato centinaia di ebrei che condannavano le politiche criminali del governo israeliano, per finire ai divieti di manifestare da parte del governo italiano.

Il 7 ottobre è figlio della brutale occupazione israeliana. Da 20 anni la Striscia di Gaza è soggetta ad un assedio spietato e a periodici devastanti bombardamenti. Metà della popolazione ha meno di vent’anni, l’unica realtà che conoscono è quella dell’occupazione e delle bombe. I combattenti palestinesi che hanno agito il 7 ottobre erano soprattutto giovani che sono nati e cresciuti sullo sterminio e sull’umiliazione.

La mia formazione umana, filosofica, religiosa e giuridica è incompatibile con il 7 ottobre e sono e sarò sempre per la non violenza. Ma se fossimo stati noi a subire un trauma lungo più di un secolo non credo avremmo reagito con minore violenza. Del resto la resistenza e la lotta partigiana contro l’occupazione nazifaacista sono storia. La mia formazione mi fa stare anche senza esitazione dalla parte della giustizia, con gli oppressi contro gli oppressori. La resistenza palestinese è un doveroso movimento di liberazione, mentre Israele ha come obiettivo la soppressione dei palestinesi e l’allargamento del conflitto per costruire la Grande Israele.

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