Sui centri per migranti in Albania sarà di nuovo scontro tra il governo e la magistratura. Mentre l’esecutivo conferma l’apertura delle strutture, che potrebbero essere operative già da lunedì prossimo, in Italia i giudici tornano a disapplicare il decreto Cutro, stavolta con la benedizione della Corte di giustizia dell’Unione europea che, in una sentenza del 4 ottobre di cui il Fatto ha scritto in dettaglio, ha demolito il presupposto dell’esame accelerato delle domande d’asilo per cui è previsto il trattenimento: la provenienza da Paese di origine “sicuro”. Che, dice la Cgue, non vale ai fini di tali procedure se sono presenti eccezioni per parti di territorio o categorie di persone. Il che esclude 15 dei 22 Paesi che il governo considera sicuri, compresi quelli da cui provengono i migranti che si contava di portare in Albania. Infischiarsene, come sembra voler fare il governo, e portare comunque in Albania cittadini di quei Paesi significa, tra l’altro, violare la Costituzione.
Gli Stati membri sono tenuti a rispettare la sentenza, applicando la direttiva che regola la designazione dei Paesi sicuri in base alle indicazioni date. Né possono sottrarsi i giudici europei, che la Corte obbliga a verificare d’ufficio la legittimità della designazione di Paese sicuro. E così è stato. Il Tribunale di Palermo ha appena respinto otto richieste di convalida per il trattenimento di altrettanti tunisini sottoposti a procedure in frontiera per l’esame accelerato delle domande d’asilo. Esattamente come dovrebbe avvenire in Albania. Ma anche nel caso dei tunisini, considerati di origine “sicura” e principali candidati ai centri in Albania, i giudici di Palermo non hanno potuto che citare la recente sentenza della Cgue. Hanno evidenziato le eccezioni dalla Farnesina che non considera il Paese sicuro per le persone della comunità Lgbtqi+, respinto le richieste di convalida presentate dalla Questura di Agrigento e liberato tutti i richiedenti. Lo stesso vale per Bangladesh ed Egitto, anch’essi ai primi posti per numero di sbarchi insieme alla Tunisia. A parte i richiedenti di Capo Verde, che come ha evidenziato il Fatto si contano sulle dita di una mano, non rimane più nessuno da trattenere legalmente. Ma salvo dietrofront dell’ultimo minuto, Meloni e soci sembrano non sentire da quell’orecchio.
Domani nell’hotspot di Shengjin, già pronto l’estate scorsa, e nel centro di Gjader, appena consegnato con un’area per i richiedenti asilo (880 posti), un Cpr per i rimpatri (144 posti) ed un penitenziario (20 posti), è attesa la stampa, soprattutto internazionale, per raccontare da vicino il “modello Albania” che diversi leader europei hanno definito interessante, non solo a destra. Mentre l’operatività potrebbe arrivare già lunedì prossimo, in attesa dei primi trasferimenti di migranti dalle acque a sud di Lampedusa. A inaugurare i centri, dovrebbero presto arrivare anche Meloni e il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi. Già in settimana, dunque, il competente Tribunale di Roma potrebbe ricevere dalla Questura capitolina le prime richieste di convalida per i trattenimenti a Gjader. Difficile immaginare come i giudici romani potranno discostarsi dai decreti firmati oggi a Palermo, obbligati come tutti i giudici europei ad attenersi alla sentenza della Cgue. A questo punto, se il governo non deciderà di fermarsi, si innescherà un copione già visto, quello dello scontro tra politica e magistratura, coi giudici accusati di sabotaggio. Al contrario, condurre in Albania cittadini di Tunisia, Egitto, Bangladesh e non solo, significa non rispettare la Corte Ue, violare il diritto dell’Unione nonostante le rassicurazioni date e, peggio ancora, violare la Costituzione italiana sulla quale Giorgia Meloni ha giurato, compreso l’articolo 117 che impone il rispetto “dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”. Per non parlare dei costi esorbitanti di un’operazione sulla quale, a questo punto, si allunga anche l’ombra del danno erariale.