Sul deposito nazionale di superficie per le scorie nucleari si annuncia tutto e il contrario di tutto. Il ministro dell’Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin, ha lanciato l’ultima idea: dato che per il deposito non partirà prima del 2039, si dovrebbero “ammodernare le strutture esistenti”. E, già che si interviene, ampliarle “nell’ottica del rientro dall’estero dei rifiuti ad alta attività”. Ennesimo cambio di direzione. Perché il deposito nazionale di superficie avrebbe dovuto, inizialmente, contenere solo i rifiuti a bassa e media intensità radioattiva, perché quelli ad alta radioattività dovrebbero essere stoccati in un deposito geologico di profondità. Poi, però, i piani sono cambiati: nel deposito di superficie, in un’apposita struttura centralizzata, andranno 78mila metri cubi di scorie a media e bassa radioattività, come quelle prodotte dagli ospedali e 17mila ad alta intensità. Un’altra questione sulla quale il Governo Meloni continua a riservare sorprese è quella della scelta del luogo dove realizzare il sito. Dato che sui 51 siti indicati nella Carta nazionale delle aree idonee (Cnai) preparata dalla Sogin non c’è l’accordo dei territori coinvolti, il ministro dell’Ambiente ha aperto alle autocandidature anche di territori ritenuti fino a quel momento ‘non idonei’, con la proposta del Comune di Trino Vercellese, che ha poi fatto dietrofront. Fallita questa strada, resta in ballo l’iter della Cnai, ma Pichetto Fratin sta sondando il terreno. Prima lanciando l’idea di costruire non uno, ma tre depositi (al Nord, al Centro e al Sud) e, infine, pensando di ammodernare e ampliare le strutture esistenti. Con buona pace dei territori. “Le quattro centrali chiuse dopo il referendum del 1987 sono in siti inidonei e in alcuni casi insicuri” spiega a ilfattoquotidiano.it Stefano Ciafani, presidente di Legambiente, ricordando come “alcune di esse sono sulle sponde dei fiumi che nell’era della crisi climatica rischiano di esondare. Lo stesso vale per alcuni depositi, il peggiore dei quali è quello di Saluggia, in Piemonte”.

La spada di Damocle – Dietro la necessità di scegliere al più presto il luogo che dovrebbe ospitare il deposito nazionale superficiale c’è anche il fatto che nel 2025 l’Italia dovrà riprendersi (e non sa dove mettere) 400 metri cubi di residui del riprocessamento del combustibile nucleare esaurito, frutto dell’era italiana dell’atomo, inviato attraverso accordi internazionali in Francia e nel Regno Unito. Tra le 17mila scorie ad alta intensità che si prevede debbano essere stoccate nel deposito superficiale ci sono, quindi, anche 1.680 tonnellate di combustibile esaurito oggi stoccate nel Regno Unito e 235 che arriverebbero dalla Francia. Si tratta di scorie che dovrebbero essere stoccate in un deposito geologico, la cui realizzazione è un’operazione talmente complessa (per molti non conveniente), che l’idea più battuta è sempre stata quella di un progetto condiviso tra diversi Paesi per un deposito geologico da costruire rigorosamente all’estero.

Il nodo del deposito geologico – D’altro canto, anche se le scorie finissero in un deposito superficiale, come si prospetta, dopo alcuni decenni i rifiuti di alta intensità radioattiva dovrebbero essere comunque trasferiti in un deposito geologico. “Ma c’è bisogno di una struttura geologica particolare, poiché in questi depositi finiscono scorie che emettono radioattività anche per migliaia di anni” spiega a ilfattoquotidiano.it Margherita Venturi, docente presso il Dipartimento di Chimica dell’Università di Bologna e presidente dell’Associazione Energia per l’Italia. Che aggiunge: “La dimostrazione della complessità della questione ce l’hanno data gli Stati Uniti, che volevano costruirne uno nello Yucca Mountain e poi si sono fermati dopo aver speso miliardi di dollari, perché il deposito si è rivelato non idoneo”. Poi c’è l’esperienza della Finlandia, dove nel 2025 dovrebbe aprire ‘Onkalo’, il primo deposito geologico al mondo di scorie nucleari. “Solo che, dopo quarant’anni e un investimento di circa 3,5 miliardi di euro, tra meno di 80 anni sarà pieno – spiega Margherita Venturi – e, quindi, andrà chiuso. E stanno ancora discutendo di come trattare queste scorie, prima di tombarle nel deposito”. Cosa fanno i Paesi che non ce l’hanno? “Quelli che hanno le centrali nucleari, mettono le scorie trattate in silos, nei piazzali davanti alle centrali, in attesa di trovare il deposito geologico”.

Una corsa contro il tempo – Ma senza una centrale nucleare attiva, l’Italia dove potrà stoccare le barre di combustibile che arriveranno nel 2025? “Credo che per noi la cosa più opportuna da fare, nonostante i limiti della struttura, sarebbe quella di prendere accordi con la Finlandia, anche perché non credo che Francia e Regno Unito continueranno a tenersi a lungo le nostre scorie. Ma ecco, rispetto a questi problemi enormi e a un prezzo eterno da pagare, mi sembra che in Italia si facciano discorsi campati in aria”. Critica anche la posizione del presidente di Legambiente: “Invece di perdere tempo col surreale ritorno al nucleare con le centrali di nuova generazione (la cui realizzazione in Francia ha portato all’indebitamento e alla nazionalizzazione di Edf) o con i reattori Smr (che ad oggi non esistono sul mercato) dovrebbe concentrarsi sulla localizzazione del deposito unico per lo smaltimento delle scorie radioattive a media e bassa attività”. E per quelle ad alta radioattività, la soluzione più adatta potrebbe essere “un accordo economico con un paese europeo che ha prodotto molti più rifiuti di noi, per ospitarle nel loro futuro deposito”.

La pioggia di idee sul deposito superficiale – Le ultime soluzioni prospettate dal ministro dell’Ambiente riguardano solo il deposito superficiale. Prima ha lanciato quella di realizzare tre depositi, al Sud, al Centro e al Nord del Paese, lasciando le barre di combustibile all’estero. Una risposta ai dinieghi dei territori, con cui si rischia di triplicare l’attuale problema. L’ultima idea è quella, invece, di “ammodernare le strutture esistenti per stoccare le scorie nucleari”. E, dato che prima del 2039 non ci sarà alcun deposito, “ampliandole anche nell’ottica del rientro dall’estero dei rifiuti ad alta attività” ha detto, in audizione sul nucleare davanti alle Commissioni Ambiente ed Attività produttive della Camera. “La localizzazione del deposito va fatta con un vero processo partecipato e nel luogo migliore all’interno dei siti della Cnai” spiega Stefano Ciafani, secondo cui “ogni altra scelta sarebbe antiscientifica e pericolosa, perché lascerebbe i rifiuti nei luoghi inidonei e in alcuni casi pericolosi dove sono oggi”. Problemi sottolineati anche dalla professoressa Venturi: “Le scorie ad alta radioattività non si possono mettere in un luogo, come una centrale nucleare dismessa, ma vanno messe sotto terra in particolari strutture geologiche e l’Italia non ha un terreno geologico che può stoccarle. E cosa vuol dire le ammoderniamo? Le ammoderniamo per che cosa?”.

Quale sostenibilità – Si potrebbe scoprire presto. A fine ottobre sono attesi i risultati del lavoro della Piattaforma per il ‘nucleare sostenibile’, la commissione tecnica del ministero, le cui conclusioni saranno la base per la strategia del governo. Agli inizi del 2025, invece, sarà presentato in parlamento un disegno di legge delega per dare un quadro normativo al settore. “Non si può parlare di sostenibilità – sostiene la docente – neppure per i reattori di nuova generazione di cui parla Pichetto Fratin, ossia gli Small Modular Reactor”. Secondo uno studio pubblicato nei Proceedings of the National Accademy of Sciences (Pnas) e condotto da scienziati della Stanford University e della University of British Columbia, questi reattori producono più scorie, con quelle ad alta attività di un volume anche maggiore e più difficili da trattare. “Tant’è che la NuScalePower ha abbandonato il suo Smr flagship project, dopo un investimento governativo da 4 miliardi di dollari. Di fatto, stiamo parlando esclusivamente di prototipi. Ad oggi nulla di tutto ciò è commerciale” spiega. Un discorso che vale ancora di più per gli Advanced Modular Reactor, derivati dalle tecnologie di quarta generazione, che prevedono l’utilizzo di nuovi combustibili e sistemi di raffreddamento per produrre meno scorie. In Italia non ci sono neppure i prototipi, eppure c’è chi parla di un Paese già nucleare, in quanto deve già smaltire le scorie degli ospedali. “È un falso problema, per distogliere l’attenzione da quello vero – replica – perché i rifiuti radioattivi ospedalieri hanno livelli di intensità, ma anche tempi di decadimento, totalmente diversi da quelli delle scorie delle centrali nucleari. Vengono collocati in depositi temporanei all’interno delle stesse strutture sanitarie in attesa di decadimento, per poi essere incenerite. Chi equipara le due cose non ha capito cosa vuol dire ‘nucleare’”.

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