Il libro Uno così. Giovanni Brusca si racconta (edizioni San Paolo) fa già discutere prima delle presentazioni. Il dialogo tra “u verru”, o anche noto come “scannacristiani”, boss pluriomicida e sanguinario, e don Cozzi, che racconta il suo percorso fatto in carcere. Nelle mani di Brusca c’è il sangue dell’undicenne Giuseppe Di Matteo, sequestrato il 23 novembre 1993, incarcerato per oltre due anni e poi disciolto nell’acido l’11 gennaio 1996, solo perché figlio dell’uomo d’onore Santino Di Matteo, che aveva iniziato a collaborare con la giustizia. Nicola è il fratello minore di Giuseppe. Gli abbiamo chiesto cosa ha pensato quando ha saputo del libro.
“Siamo stanchi dopo trent’anni di parlare sempre delle stesse cose. Sono sinceramente arrabbiato. Tutti possono scrivono libri, possiamo vietare che raccontino le loro storie, che la gente li compri o li legga, però pubblicizzare questo libro di questo personaggio, è finita che siamo noi a dover chiedere scusa a lui, perché siamo noi che abbiamo sbagliato, mentre lui è la persona corretta”.
Non crede al pentimento di Busca?
Come si fa a chiedere perdono dopo tutto quello che ha fatto? Sappiamo tutti la sua storia, ci sono le sentenza, ha anche “ammaccato anche un pulsante” (premuto il telecomando della strage di Capaci, ndr). Ha distrutto intere famiglie. Per quello che ha fatto a mio fratello, non c’è perdono. (Resta in silenzio per qualche istante) Lui per farsi perdonare, per questa cosa che dice di portarsi dentro, lo potrà fare solo un giorno quando nell’aldilà avrà davanti mio fratello, e gli chiederà scusa. Forse solo li potrà avere il perdono.
Il libro potrebbe essere presentato in comune a San Giuseppe Jato, città che ha dato i natali alla famiglia Brusca, che ospita la statua dedicata a suo fratello e dove è stato ucciso.
Per noi è inaccettabile. Farlo a San Giuseppe Jato a due passi da dove ha tenuto quel bambino in un bunker, c’è da rabbrividire solo a pensarlo. Vorrei dire al sindaco (Giuseppe Siviglia, ndr), se ha un minimo di umanità, da genitore con figli, e sapendo quanto si può soffrire per loro, non avrebbe neppure dovuto pensarci un attimo. Perché sta continuando a far soffrire mia mamma, dopo tutto quello che ha passato. Sono tre giorni che mia madre piange. Se vogliono presentare il libro, lo facciano lontano da questo paese e da questa gente, perché di queste persone non ne dobbiamo più parlare.
Parlare del libro a San Giuseppe Jato riapre vecchie ferite.
“Ho letto che il sindaco in un’intervista ha invitato i familiari delle vittime alla presentazione libro. Ma sta scherzando! È fuori di testa! Lui non sta bene mentalmente! Non capisce il dolore che può creare in una mamma, vederla piangere da tre giorni per suo figlio, dopo tutto quello che gli hanno fatto. Mi preoccupo per mia madre e mi sale il sangue in testa. Ho solo rabbia. Noi uomini il dolore di una madre non lo possiamo capire, è la persona che vive per i figli, li hanno portati in grembo e hanno un amore enorme per tutta la vita”.
Se lei si trovasse davanti Brusca, come reagirebbe?
“Non lo vado certo a cercare, ma spero di non trovarmelo mai davanti, perché poi non sarei me stesso, non avrei il coraggio di usare violenza contro una persona, ma se fosse davanti a me non so cosa potrebbe succedere. Se dovesse passarmi in testa mio fratello, e potrei perderei la ragione. Mio fratello aveva 11 anni. Queste persone le abbiamo conosciute, ma all’epoca eravamo bambini e non potevamo sapere chi fossero e cosa facessero. Un ragazzino che paga le colpe di un padre. Ogni volta che ripenso a cosa hanno fatto a mio fratello, rabbrividisco (si sente la voce strozzata in gola), peggio di Auschwitz”.
In tutti questi anni, ha avuto risentimenti verso suo padre, per essere appartenuto a quel mondo mafioso che poi ha inciso sulla sua vita e in quella di suo fratello.
“Lui si è fatto la sua strada, le sue scelte, ma è qualcosa che non mi appartiene, sono estraneo e voglio restare lontano da tutta questa gente. Per l’assenza di mio fratello non do la colpa solo a chi lo ha ucciso, ma anche a mio padre per tutto quello di cui si è circondato. Certo che se fosse stato estraneo a quel mondo, tutto questo non sarebbe accaduto. È ovvio”.
C’è un momento in cui sua madre, Franca Castellese, parlando con suo padre Santino, lo invita a non far riferimenti alla strage di Borsellino. Lei cosa pensa di questo?
“Io posso parlare di quello che conosco, di altro no perché non conosco i fatti e non lo so veramente. Avevo 9 anni quando è stato rapito mio fratello, non sapevo e capivo nulla”.
In questi giorni è in sala c’è anche il film “Iddu” su Matteo Messina Denaro, lo vedrà?
“No, guardi, io sono nato in questi ambienti, da piccolo ho conosciuto e vissuto tutta questa gente, poi crescendo e riflettendo a chi avevo accanto e a quello che hanno fatto, non c’è neppure il bisogno di nominarle queste persone. Di vedere cosa scrivono o quello che fanno. Questa gente ha rovinato migliaia di famiglie, uccidendo i parenti, per cosa? Il potere dei soldi? Questi film e libri esaltano questa nuova generazione, che non sa a cosa va incontro. Esaltano questi ragazzi che sono disoccupati e senza lavoro, e ancora credono che quando c’erano i mafiosi in giro c’era la possibilità di avere un lavoro. Invece per arricchirsi i mafiosi hanno bruciato tutto, interi territori e distrutto famiglie e la vita della gente per bene. Su questi personaggi deve calare solo l’oblio e il silenzio”.