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“The Freak Show è un omaggio ai circensi che ho amato. A Fedez ho risposto, ma mi sono fermato perché era gossip. Ferragni? Gli influencer non sono tutti uguali”: Naska a tutto campo

A FqMagazine il principe del punk rock italiani presenta l'ultimo album

di Andrea Conti

Sorridente, educato, gentile, vestito come se fosse appena uscito dal college e con un adorabile bassotto a seguito. Eppure quel ragazzo è Naska, il talentuoso esponente del punk rock italiano che si è fatto strada nella musica italiana con convinzione e pubblica il suo terzo album “The Freak Show”, mentre il 7 dicembre lo aspetta l’Unipol Forum di Milano, praticamente sold out. L’album è la testimonianza della freschezza e del talento di Naska e per chi volesse approfondire, recuperate l’irresistibile film animato “The Freak Family”, disponibile su Prime Video, una sorta di mini guida all’ascolto del disco. A metà strada tra Zerocalcare e The Simpson, ampiamente omaggiati nella sigla iniziale.

In “The Freak Show” sei un circense a tutti gli effetti. Com’è nato queso concept?
Più che un mondo immaginario mi trovavo davvero in un circo a luglio (ride, ndr). Dentro quel tendone di plastica si stava sudando, infatti dalla copertina sembro tutto lucido, ma la verità è che ho sudato tanto mentre facevamo lo shooting (ride, ndr). Di base quando faccio un disco non ho mai un concept perché altrimenti se scrivessi un disco con un concept iniziale, mi troverai molto limitato, avrei dei paletti.

Come mai questo titolo?
‘The Freak Show’ è venuto fuori perché l ‘ultima traccia del disco si chiama ‘Pagliaccio’. Questa canzone ha contribuito a questo immaginario, questo nome e a tutto il disco. Poi io amo molto i ‘freak show’ e il circo. Vengo da un paesino che si chiama Villa San Filippo (Macerata) e vicino allo stadio c ‘era questo parcheggio enorme. dove stazionava un circo che poi si spostava di stagione in stagione in un altro paese.

E cosa accadeva?
Ero piccolino e mentre giravo per il paese, andavo ai giardini, beccavo tutti i circensi che dormivano lì in zona, che lavoravano al circo. Erano simpatici perché giocavano con noi bambini al pallone oppure ci facevano un trucco di magia, c’erano anche i giocolieri. Sul circo so tutto e potrei raccontarne di cose…

In “Scappati Di Casa (62015)” parli di un posto nel mondo per le nuove generazioni. Esiste?
62015 è il cap di Villa San Filippo. Se esiste un posto non lo so, però capisco che le nuove generazioni sentano il bisogno – spesso e volentieri – di scappare di casa, di andare a scoprire qualcosa al di fuori del piccolo paese. Secondo me, quel bisogno ce l ‘abbiamo un pochino tutti. Conosco un sacco di ragazzi, come me, che si sono trasferiti dalla provincia, quella vera da 800 abitanti, dove ci sono più fabbriche che abitazioni, alla grande metropoli. Parlo più del volere scappare via, di andare a vedere cosa c ‘è fuori, tutte cose che magari la provincia ci tiene nascosti.

E sei cambiato da quando sei andato via di casa?
Sì sono cambiato per forza, perché quando mi sono trasferito avevo 19 anni. Adesso ne ho 27, quindi un pochino sono cambiato. Prima stavo con i miei, adesso da solo, il contesto è mutato.

Cioè?
Cucino, faccio il bucato lo non stiro, non ho mai stirato niente in vita mia (ride, ndr) però faccio le pulizie. E poi sono molto simile a Patrick Bateman di “American Psycho” (film cult con Christian Bale del 2000, ndr) e cioè amo molto l’ordine, la pulizia, se vedo disordine intorno a me non lo tollero perché vado fuori di testa. Tanto sono ‘disordinato’ nelle mia testa, tanto invece sono ordinato in casa.

Cos ‘è successo quella notte a “Berlino”, per citare un’altra tua canzone?
Parla di un viaggio fatto con Simone, il mio amico… A tre ore dal nostro arrivo siamo finiti in caserma, ci avevano arrestato, ma non andrei oltre nel racconto. Una volta usciti, siamo andati diretti al Berghain (uno dei club più famosi al mondo, ndr). Un gruppo Telegram avvisa quando c’è la fila fuori dal locale, così abbiamo preferito aspettare un altro po’ affinché diminuisse, temporeggiando al bar e a bere. Quando abbiamo finito, siamo entrati al club, senza aspettare un secondo. Per me era la prima volta ed ero stupito.

Perché?
Ho passato la vita a dire ‘cazzo, chissà se entrerò mai al Bergain!’.

Cos’è successo lì?
Quello che accade al Berghain, rimane al Berghain (ride, ndr). No, comunque non ho preso le pasticche, come ho fatto vedere nel mio corto animato ‘The Frick Family’ (ride, ndr). Poi siamo andati in un altro famosissimo club, il Tresor. Uno spazio enorme, una specie di inferno. Insomma non ci siamo fatti mancare nulla. Berlino è divertente e penso proprio di tornarci per farmi un weekend, dopo la promozione del disco.

“Piccolo” è un brano che affronta il tema della salute mentale. Come mai sei così attento a questo tema?
Per fortuna o per sfortuna non ho mai iniziato un percorso da un psicologo che mi aiuti a calmare questa mia ansia, questi attacchi di panico perché, sempre per sfortuna o per sfortuna, li uso per canalizzarli e poter scrivere le canzoni. Quindi un po’ il male e un po’ la cura, no? Però anzi invito a chi non ha una valvola di sfogo come quella che ho io, di andarci dallo psicologo a vedere se può essere calmato, se può essere aiutato. Io quando sto bene, esco e mi diverto mentre quando sto male vado di studio e scrivo le canzoni.

“Non sapevo che la violenza è il mezzo prediletto per chi si batte per la salute mentale” è la frase che hai indirizzato a Fedez con il quale hai avuto uno scontro fisico. Che ne pensi dei suoi ultimi sviluppi?
Mah la televisione l’ho accesa poco ultimamente… L’ho accesa ultima volta per vedere se era uscito su Prime Video il mio cartone perché non ero sicuro. Ho sentito come un po’ tutti i dissing però non me n’è fregato mai tanto troppo un cazzo perché preferisco che di me si parli di musica. Quando il gossip si intreccia con la musica, non mi piace. Mi ci sono trovato di mezzo pure io, ho risposto quella volta lì poi non ho voluto mai più riprendere il discorso perché stavo scrivendo il disco, stavo scrivendo il cartone e mi toglieva del tempo che avevo per lavorare e per preparare tutto quanto.

A proposito del cartone “The Freak Family” il personaggio dell’influencer Polly è tale e quale Chiara Ferragni…
Dici? (ride, ndr) Ma no è una la canzone del primo disco

Sì certo però il taglio di capelli, il colore… Per citare il film d’animazione chi metti dentro l’Influerno?
Un po’ di TikToker, un po’ di influencer pazzi che magari si ritrovano per caso quella battuta che li rende un po’ virali e sfruttano quella battuta all’esasperazione oppure ci metto dentro il cripto-guru…

Il “Pandoro Gate” che ha coinvolto la Ferragni, ha cambiato il modo di vedere l’influencer?
Boh, non lo so. Non ho manco seguito, troppo quella roba. A Natale io stavo a casa perché era nata mia nipote. Sì, so perché è diventata una roba grossa quello che è successo. Ma ne so a grandi linee come tutti. So quello che si legge sui giornali oppure che quello che dicono i telegiornali, quando li ascolto in sottofondo mentre li ascolta mia nonna.

Una idea te la sarai fatta…
Ma non tutti gli influencer ‘fanno i pandori’ oppure fanno grandi cose come faceva Chiara (Ferragni, ndr). Quindi no, penso ci siano talmente tanti tipi di influencer…

Tu lo sei?
Mah alla fine io sono un musicista, se devo spingere qualcosa è il ‘prodotto’ che faccio io quindi il disco oppure i concerti. Non so se posso essere definito influencer…

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