di Stella Saccà
Prima gli italiani anche nella morte. Dodici mesi di attacchi ma il governo italiano aveva le palpebre sigillate. Anzi, le palpebre aperte e le bocche chiuse dentro a chiave.
Oltre 40mila morti, non una condanna. Neutrali quando potevano esprimersi insieme a Francia (troppo in ritardo), Spagna, Colombia, ecc.
Un governo italiano che si dimostra razzista nei confronti di occupazione illegale, dei proclami della Corte Internazionale di Giustizia, delle vittime di un colore e religione diverse (ignorando quelle cattoliche, per giunta); che parla solo ai propri elettori, non a tutti gli altri italiani che in massa stanno cercando non solo una giustizia utopica ma anche una risposta da parte di chi dovrebbe guidare tutti, non solo chi la pensa come loro.
Un governo che si schiera contro le coscienze intatte di molti che manifestano, ma che grida all’orrore in modo circoscritto, selettivo, dimostrando di esserci solo se mossi da un motore alimentato a slogan, inseguendo una coerenza che vacilla.
Un governo squilibrato, sottomesso, senza personalità.
Prima gli italiani anche nelle ingiustizie, come se un anno di distruzione non fosse esistito, come se non fosse vero che nessuno è libero se non lo siamo tutti.
Prima gli italiani anche nel cadere sotto le bombe.
Un governo in ritardo, fuori fuoco. Che non ha capito che il giocattolo di Zuckerberg è ormai sfuggito di mano e viene usato per mostrare una realtà che è da quasi ottanta anni che c’è, era solo nascosta da un algoritmo esistenziale che premiava bicchieri di vino, viaggi lussuosi, scarpe alla moda.
È il testo di una canzone vecchia, fuori tempo, peggio di un tormentone estivo ascoltato cinque inverni dopo l’uscita.
Non c’è più il prima gli italiani, né nel lavoro né nella morte. Era un sistema imboccato, ma il menù è cambiato. Sono dodici mesi che il vino è diventato sangue, il pane diventato farina mista a corpi smembrati.
Anche il prima gli italiani, nella morte, è morto. E se il governo non si adegua, i prossimi saremo noi. E forse lo siamo già.