Pelle, capelli, sangue, latte materno e tessuto adiposo risultano contaminati dalle sostanze chimiche rilasciate dai contenitori a cibi e bevande. È la scoperta fatta dai ricercatori – scienziati della nonprofit svizzera Food Packaging Forum Foundation e della Wayne University – autori dello studio uscito il 17 settembre sul Journal of Exposure Science and Environmental Epidemiology. Gli studiosi hanno misurato sia le sostanze chimiche usate per la produzione e conservazione degli alimenti sia i sottoprodotti e le impurità presenti normalmente in plastica, imballi, lattine, inchiostri da stampa, ecc. e che finiscono non volendo nei contenitori.
Su 14.000 FCC esaminati, 3601 sono stati ritrovati nel nostro organismo umano, cioè il 25%. Neanche tanti sul totale, ma di certo sufficienti per stupire anche i ricercatori: si sa che gli inquinanti ambientali, come le microplastiche, possono accumularsi nell’organismo, ma non si immaginava che così tanti inquinanti potessero migrare dai contenitori a noi. “Questo lavoro evidenzia il fatto che i materiali a contatto con il cibo non sono del tutto sicuri, anche se possono essere a norma, perché trasferiscono negli esseri umani sostanze chimiche di cui è nota la pericolosità”, ha dichiarato in una conferenza stampa Jane Muncke, esperta in tossicologia ambientale e coautrice dello studio. Il nuovo studio è dunque un invito all’industria e al legislatore a produrre contenitori più sicuri, tanto di plastica quanto di cartone, evitando additivi rischiosi nella lavorazione. Ma offre anche molti spunti di riflessione.
Le conseguenze? Tutte da capire
“Il problema della cessione da parte dei contenitori è noto ai chimici da anni. Quando c’è una sostanza a uso alimentare, il chimico ne conosce la tossicità e il legislatore impone un limite accettabile di migrazione all’essere umano – spiega il prof. Giorgio Petrucci, chimico, autore di I pericoli del fluoro (Macro, 2023), esperto di inquinamento e ambiente -. Il problema è provare che queste sostanze passino all’uomo in quantità non accettabili e che possano creare un problema di tipo sanitario”. Perché certo sono piccolissime quantità, ma che succede mettendo insieme tutte queste bricioline? “Già é difficile capire come e in che quantità una singola sostanza possa dare problemi, per non parlare delle sue possibili interazioni”, sottolinea l’esperto. Tra le sostanze individuate ce ne sono molte dagli effetti ancora poco noti, e altre tristemente note, tossiche, persistenti e capaci di bioaccumularsi, in particolare:
Metalli: alcuni di essi sono stati collegati a disturbi neurocomportamentali e dello sviluppo, ipertensione, alterazioni del DNA, problemi renali.
Bisfenolo A (BPA): interferente endocrino, ritenuto nocivo per la riproduzione; il suo bando è previsto nella UE a fine anno, ma le aziende avranno fino a 3 anni per adeguarsi. Un suo possibile sostituto – il bisfenolo S, anch’esso trovato nell’uomo – può influire sullo sviluppo del feto e, nell’adulto, danneggiare fegato e reni se assunto in alte dosi – ma se ne sospetta la tossicità anche a basse dosi.
PFAS: “Anche i PFAS si comportano da interferenti endocrini”. Possono causare problemi di fertilità, anomalie fetali e disturbi del comportamento nei bambini; negli adulti, diabete, cardiopatie, tossicità epatica, rischio di morte precoce e tumori. “I PFAS contengono fluoro, elemento potenzialmente tossico da usare con moderazione. Alcuni di essi a breve non saranno più utilizzabili legalmente nella CE, ma già in molte applicazioni sono stati sostituiti da altri PFAS di natura e comportamento probabilmente molto simile ai precedenti”, aggiunge Petrucci.
Ftalati: vengono collegati a malformazioni genetiche, obesità infantile, cancro, malattie cardiovascolari, rischio di morte precoce.
Un nemico invisibile
Il problema è attualissimo, ma le conseguenze si potranno vedere solo con il tempo. “Un materiale potrebbe non avere tossicità acuta, ma cronica – avverte il chimico -. Per esempio gli effetti degli interferenti endocrini si scoprono dopo anni. Quando la sostanza lavora sugli ormoni, si sbilanciano l’organismo e il sistema immunitario, ma il problema emerge dopo molto tempo”. Così il danno è fatto, e il produttore non è imputabile se i suoi contenitori erano a norma.
Serve dunque un’azione puntuale dei legislatori, ma anche cercare di difendersi nel proprio piccolo. Intanto, il professore consiglia di preferire il vetro per conservare il cibo e di evitare la plastica nel microonde. “A temperatura ambiente i contenitori hanno una bassissima velocità di cessione, ma con il calore la velocità aumenta nettamente. Perciò bisogna anche evitare di trasferire alimenti bollenti nella plastica”. L’esperto sottolinea l’importanza di mangiare il più possibile naturale, sia per assumere cibi freschi e privi di additivi, sia per ridurre il numero di contenitori e di sostanze chimiche a contatto con il cibo. “I contenitori monouso hanno anche un peso ambientale, e il loro impiego è notevolmente aumentato negli ultimi vent’anni”, conclude Petrucci.