Due operai della DS aggrediti, otto della Gruccia Creation, tre della Texprint e cinque della Dreamland, sei della ACCA e quattro della Confezioni Lin Weidong: 23 teste spaccate nel distretto pratese del pronto moda negli ultimi anni. Tutte nella stessa provincia, quella di Prato, la sesta del sistema moda italiano, concentrato per il 25% in Toscana, dove Firenze e Prato registrano insieme 2 miliardi e 800 milioni di import, 11 miliardi e 500 milioni di export.
Solo a Prato operano 4878 microimprese di confezioni, al 90% a gestione cinese, ma fornitrici di grandi marchi italiani e internazionali. Una galassia che da più di trent’anni si regge sull’ipersfruttamento del lavoro. Un far west fatto di migliaia di aziende con un ciclo di vita breve programmato, che eludono sistematicamente e scientemente i controlli operando al di fuori della legge. Il sistema, partendo dalla vendita, viene guidato dalle aziende committenti (i Pronto Moda). La produzione è completamente esternalizzata a società terze (tintorie, stamperie e confezioni) di norma intestate a prestanome, che organizzano la produzione basandosi sullo sfruttamento lavorativo di persone immigrate. I Pronto Moda, unici soggetti solvibili, scaricano sui terzisti la responsabilità dei lavoratori e ciò si traduce in retribuzioni non corrisposte, contribuzioni non versate, mancata sicurezza. Grazie all’esternalizzazione delle produzioni, nessuno ne risponde. E quando i lavoratori alzano la testa, arrivano le rappresaglie squadriste.
L’ultima spedizione punitiva dei caporali ancora una volta a Seano. Almeno cinque persone la notte scorsa hanno aggredito con spranghe di ferro quattro persone che si trovavano a un presidio di protesta. Un presidio organizzato dal Sudd Cobas davanti ai cancelli della pelletteria Confezione Lin Weidong. Una delle tante proteste nelle piccole ditte del distretto dell’abbigliamento. In questo caso di proprietà cinese.
Gli operai, che sono in stato di agitazione e sciopero, chiedono cose semplici: l’applicazione di contratti regolari e orari di lavoro dignitosi.
I quattro aggrediti, portati in ospedale a Prato per essere medicati, sono due lavoratori pakistani e due italiani che appartengono al sindacato: nella serata di giovedì 10 sono stati sentiti in Procura. Gli aggressori – vero e proprio braccio armato del caporalato – hanno minacciato di sparare alla prossima protesta. Secondo i testimoni, si tratta di persone italiane, assoldate da quel sistema mafioso che controlla il distretto del pronto moda, in quelle zone ormai pervase da un caporalato violentissimo.
Questi operai lavorano 12 ore al giorno 7 giorni su 7. Protestano per il diritto a lavorare con dignità 40 ore a settimana.
Sarebbe compito delle istituzioni e dello Stato proteggerli. Sarebbe compito del governo chiedersi se sia sostenibile un tessuto produttivo fondato sullo sfruttamento e sulla violenza. E pensare che la Camera ha audito le imprese del pronto moda preoccupate per la crisi che sta investendo il settore. Non esitano a chiedere misure di sostegno finanziate con denaro pubblico.
La Ministra Calderone e il Ministro Urso si sono accorti di quanto sia sinistro ascoltare queste voci e non quelle degli schiavi che in quel distretto faticano 12 ore al giorno e subiscono rappresaglie?
Sono certo che ci sia qualche magistrato che leggerà questa mia ennesima denuncia. Devo fare un esposto perché qualcuno apra un’inchiesta? Non bastano 23 aggressioni? Quante teste spaccate e ossa rotte dovremo ancora vedere prima che avvenga qualcosa? Deve scapparci il morto?