La provincia argentina di Buenos Aires, dove risiede il 40% della popolazione del Paese e che non include l’omonima capitale, potrebbe diventare indipendente e dare vita a uno Stato secessionista. Questa è la provocazione lanciata da Jorge D’Onofrio, ministro dei Trasporti dell’esecutivo peronista locale, ai ferri corti con l’amministrazione conservatrice del presidente Javier Milei. Secondo D’Onofrio, intervistato da Radio Splendid e le cui parole sono riportate dalla Bbc, la provincia indipendente avrebbe “il prodotto interno lordo più grande dell’America Latina”. Il ministro, consapevole che la secessione non sia la migliore strada da percorrere, ha comunque affermato che “si tratta di una questione che noi cittadini di Buenos Aires dobbiamo affrontare perché produciamo il 45% della ricchezza dell’Argentina e incassiamo il 22% delle compartecipazioni alle entrate sovvenzionando l’inefficienza del resto dello Stato nazionale e delle province”. Poi, qualche giorno dopo, ha dovuto rettificare: “Non ci credo, è una proposta che fanno alcuni”.

L’affermazione della destra radicale alle elezioni presidenziali dell’ottobre 2023 ha aperto una profonda frattura tra l’élite al potere ed il Partito Peronista, che per decenni ha dominato la scena politica argentina e che guida gli esecutivi di cinque province del Paese. Le parole di D’Onofrio sono solamente l’ultimo capitolo di una lunga serie di scontri tra le parti e l’esecutivo di Buenos Aires ha annunciato che non liberalizzerà il settore dei trasporti malgrado il parere opposto del governo centrale.

Non è la prima volta che la provincia di Buenos Aires va ai ferri corti col governo centrale e durante la guerra civile di metà Ottocento la provincia proclamò la propria indipendenza e si autogovernò per ben nove anni prima di essere riassorbita all’interno dello Stato nazionale. Pensare che quanto è accaduto in passato possa ripetersi ora appare, al momento, pura fantapolitica ma le pulsioni indipendentiste e le fragilità degli Stati nazionali sono una costante in America Latina.

Le controverse politiche di austerity e le liberalizzazioni introdotte da Milei hanno polarizzato la società argentina e il capo di Stato, dopo nove mesi di presidenza, sta sperimentando un calo del gradimento. Tre sondaggi, riportati dalla Reuters, indicano che i consensi si stanno riducendo e questi dati possono mettere in crisi i piani della Casa Rosada. Le formazioni vicine a Milei sono in minoranza tanto alla Camera dei Deputati quanto al Senato e il Presidente ha sinora sfruttato la propria popolarità personale per imporre la sua agenda legislativa. Il governo ritiene che sia necessario tagliare i costi per tenere sotto controllo l’inflazione più alta del mondo, quasi al 250%, per ricostruire le riserve nazionali di valuta estera e per cambiare rotta dopo anni di pesanti deficit fiscali. Il budget del 2025 indica che l’inflazione dovrebbe ridursi al 18% e che il prodotto interno lordo dovrebbe crescere del 5% il prossimo anno e del 6% nel 2026. Al momento, però, l’austerità sta danneggiando le attività economiche e ha fatto aumentare tanto la disoccupazione quando la povertà.

I tagli hanno colpito con particolare durezza il settore sanitario, quello educativo e le retribuzioni pensionistiche. Le proteste popolari e le difficoltà politiche hanno indotto l’esecutivo a mostrare un certo pragmatismo riducendo, ad esempio, il numero delle privatizzazioni e facendo concessioni, ma i dissidi restano. Il tasso di povertà, come ricordato dal Guardian, ha toccato quota 53% e 3,4 milioni di argentini sono diventati indigenti nel corso di quest’anno. Il licenziamento di decine di migliaia di impiegati pubblici e i tagli al welfare si sono uniti a una riduzione del potere d’acquisto rendendo particolarmente difficili le condizioni di vita dei più poveri. In questo contesto non è escluso che, nel prossimo futuro, possano esplodere dimostrazioni popolari dalle conseguenze imprevedibili per la tenuta dello Stato argentino.

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