La revisione dei conti economici dell’Istat ha portato anche a una limatura dei dati contenuti nella relazione annuale sull’evasione fiscale e sull’economia sommersa nel periodo 2016-2021. La nomina del nuovo presidente ad agosto, l’economista ed ex-parlamentare Pd Nicola Rossi, poi passato alla concorrenza, aveva suscitato qualche perplessità perché si tratta dell’alfiere in ambito scientifico italiano della flat tax, la proposta di punta della Lega. Vedremo se i dati per l’anno prossimo cambieranno, magari in meglio, visto il nuovo timoniere a guida della Commissione.
Il ricalcolo dell’Istat ci consente di fare alcune valutazioni sull’esito della lotta all’evasione nell’ultimo lustro. Il quadro presenta luci e ombre, anche se l’ammontare delle tasse evase rimane enorme. Sostanzialmente siamo di fronte a un fallimento quasi totale. Bisogna poi ricordare sempre che l’altra faccia dell’elevata evasione fiscale è l’esplosione del debito pubblico. Ci sono stati dei progressi, ma nel complesso la situazione ha mostrato pochi miglioramenti ed è ancora drammatica.
Partendo dalle cose che hanno funzionato, l’evasione si è ridotta in maniera significativa nel campo dell’Iva e dei redditi da locazione. L’Iva ha comminato a ridursi significativamente dal 2019 quando si sono cominciati a sentire gli effetti della fattura elettronica, introdotta dal governo Gentiloni. Il recupero è stato ingente, anche negli anni della pandemia, un biennio particolare. La tecnologia ha fatto velocemente quello che l’invito all’onestà non è stato in grado di portare a casa. Anche i proprietari di immobili si sono ravveduti e l’evasione da locazioni è passata in percentuale dal 13% al 3%, da 1,15 miliardi a 225 milioni in valore, un risultato eccezionale. Qui sicuramente ha agito il favorevole regime fiscale che ha portato molti proprietari di case a mettersi in regola. Un caso di flat tax di successo, insomma, con un’aliquota molto al di sotto di quella minima.
Dove invece vi è stato un completo fallimento è stato nel contratto all’evasione degli autonomi (Irpef) e delle imprese (Irap). Le tasse non pagate da professionisti e artigiani ammontavano a 33 miliardi nel 2026 e rimanevano a quota 30 miliardi nel 2021, un anno di pandemia. I valori percentuali sono ancor più sconfortanti. Il tax gap, cioè la percentuale di tasse non pagate, in genere molto alto, sale addirittura al 67% nel caso del lavoro autonomo. Non si tratta di reddito non dichiarato, ma proprio di tasse evase, confermando in questo modo l’ampiezza anomala dell’economia sommersa. Il popolo delle partite Iva ha giocato contro lo stato e ha vinto.
Questa evasione di massa e continuata nel tempo ha almeno due aspetti critici. Il primo naturalmente è che sottrae risorse in maniera fraudolenta al bilancio pubblico, creando debito. Il secondo è che alimenta un insieme asfittico di attività economiche poco produttive e che senza la tenda di ossigeno dell’evasione non potrebbero sopravvivere. L’elevata evasione degli autonomi non è solo un problema morale, ma un più incisivo problema di arretratezza economica. Come ha funzionato nel caso del lavoro autonomo la flat tax? Male. La sua applicazione avrebbe dovuto ridurre l’evasione ma questo non è avvenuto. Gli autonomi si sono ampiamenti difesi con la sottofatturazione o altri sistemi fraudolenti. L’Irap poi, l’imposta che le impresse vorrebbero eliminare, è discretamente evasa per 4,5 miliardi e il barometro segna solo una piccola variazione. Per abolirla servirebbero quasi trenta miliardi e intanto le imprese se la riducono in proprio evadendo e sottraendo risorse alle Regioni.
Quello che poi effettivamente sorprende è l’elevata evasione dell’Imu, 5 miliardi, pari al 20% dell’imposta da pagare. Come mai gli enti locali, così bisognosi di risorse, non sono in grado di incassare il dovuto? L’inerzia degli enti pubblici nel contrastare questo tipo di evasione meriterebbe qualche riflessione.
Se questa è la situazione attuale, ancora abbastanza desolante a distanza di anni, la linea del governo Meloni porterà a qualche cambiamento sostanziale? Per ora, quello che si è visto è solo una ampia politica di condoni e sanatorie che, come è noto, portano qualche soldo subito, ma nel lungo periodo alimentano la tendenza all’evasione. A Meloni va bene lo status quo con un’evasione selettiva di massa, a questo punto accettata se non favorita. Il contribuente onesto può stare a guardare, (fino a quando?), come le stelle del celebre romanzo di Cronin.
Oggi è molto di moda inveire contro i paradisi fiscali per le multinazionali. Giusto, ma tra i tanti paradisi fiscali che non ti aspetti inserirei anche l’Italia. Si tratta di un paradiso fiscale per così dire selettivo. Nei piccoli paesi che fanno da portaborse fiscale per il mondo effettivamente le tasse sono basse per tutti. Nel paradiso italiano, via evasione, le tasse sono molto basse per 2-3 milioni di contribuenti infedeli e scrocconi. Meloni continuava a ripetere in campagna elettorale che con lei la pacchia era finita. Non pare, almeno sul piano fiscale. Siamo il terzo paese al mondo per evasione fiscale grazie ad alcune categorie ben note di non-contribuenti.
Credo che con il trio Meloni-Giorgetti-Leo potremmo puntare al secondo posto, e – perché no – anche al primo posto della disonestà fiscale, ma soprattutto civica.