Quattro attacchi contro le basi Unifil in meno di 24 ore. I fatti sono chiari: Israele vuole avere mano libera nel sud-est per liberare l’area da Hezbollah. Su una cosa ha ragione: la risoluzione 1701, approvata all’unanimità dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite l’11 agosto 2006 per mettere fine alla Seconda guerra del Libano e pacificare l’area al confine tra i due Paesi, non funziona. Non del tutto: ha evitato una guerra aperta, ma non ha impedito gli scontri a fuoco a distanza come previsto dal mandato. La responsabilità però non è tutta del nemico sciita, come sostiene Tel Aviv.

Il punto 8 del documento prevede “l’adozione di misure di sicurezza atte a prevenire la ripresa delle ostilità” e “l’istituzione, nella zona compresa tra la Linea Blu (la linea del ritiro delle Idf fissata nel 2000, ndr) e il fiume Litani, di un’area priva di personale armato, di posizioni e armi che non siano quelle dell’esercito libanese e delle forze Unifil”. Invece anche da lì Hezbollah riesce a far partire i suoi razzi verso Israele. Lo precisa anche il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres nella richiesta di rinnovo della missione inviata il 24 luglio al Consiglio di sicurezza: “Gli scontri a fuoco dimostrano la presenza di personale armato, beni e armi al di fuori dell’autorità dello Stato diversi da quelli del governo del Libano e dell’Unifil nell’area tra il fiume Litani e la Blue Line da parte di Hezbollah e di altri gruppi armati non statali in violazione della risoluzione”. Ecco perché Tel Aviv vuole cacciare i miliziani a nord del Litani: da lì, ritiene, non riuscirebbero a colpire il territorio israeliano.

Così nell’ultimo anno ha messo nel mirino la risoluzione. Dopo il 7 ottobre, sostiene il governo Netanyahu, Hezbollah ha intensificato il lancio verso l’Alta Galilea, costringendo 60mila persone a lasciare le proprie case. I dati dell’Onu, però, smentiscono almeno parzialmente la narrazione di Israele: le violazioni si sono verificate da entrambe le parti e in 9 mesi Israele ne ha commesse molte di più: “Tra l’8 ottobre 2023 e il 30 giugno 2024 – scrive Guterres nella richiesta parlando degli “scambi di fuoco attraverso la Linea Blu” – l’Unifil ha rilevato 15.101 traiettorie, di cui 12.459 da sud a nord della Blue Line e 2.642 da nord a sud”. A seguito di questo scambio “in Libano sono state segnalate almeno 107 vittime civili (…). In Israele sono state segnalate 12 vittime civili“. Israele, inoltre, “deve ritirare le sue forze dal nord di Ghajar e da un’area adiacente a nord della Blue Line e cessare le violazioni dello spazio aereo libanese – prosegue Guterres -. L’Unifil ha rilevato circa 3.426 violazioni di questo tipo tra l’8 ottobre 2023 e il 20 giugno 2024, insieme a 868 attacchi aerei“. Tre mesi dopo i numeri sono sicuramente variati, ma non di molto. La sostanza non cambia.

Israele quindi non si sta solo difendendo come dice, ma togliendo di mezzo l’Unifil e la risoluzione punta a entrare in Libano per infliggere quanti più danni possibile a Hezbollah. Partendo dal presupposto che la 1701 è sostanzialmente disapplicata. Quando venne approvata nel 2006 la premessa era che lo Stato libanese avrebbe avuto la forza di tirar fuori Hezbollah dalla zona cuscinetto tra la Blue Line e il Litani. Ciò non è mai accaduto perché Beirut questa forza non ce l’ha.

Il Partito di Dio non è solo un’organizzazione militare, ma è una sorta di Stato nello Stato. Alle legislative del 2022 la sua coalizione ha perso la maggioranza, ma continua a essere il partito più votato e in parlamento è passato da 12 a 13 seggi. Arriva in tutti i gangli dell’amministrazione pubblica ed è in grado di orientare, se non di controllare, le decisioni dei governi. Oltre a essere lil gruppo più e meglio armato del paese. E’ qui che nasce il paradosso. Se manca la volontà di Hezbollah la risoluzione 1701 non può essere attuata: il governo, che ha firmato il documento, e l’esercito, che dovrebbe applicarlo in collaborazione con Unifil, senza il suo ok non possono nulla.

Israele e Onu, inoltre, si trovano in contrasto sul modo di intendere la missione. Uno dei punti al centro della discussione è il 12, secondo cui il Consiglio di Sicurezza “autorizza l’Unifil (…), come riterrà nelle sue capacità, a garantire che la sua area di operazioni non sia utilizzata per attività ostili di alcun tipo”. Se Tel Aviv pretende il rispetto letterale di quest’ultima parte della frase, in virtù di quella precedente Unifil interpreta i propri compiti in maniera meno estensiva perché in quanto forza di pace è chiamata a ridurre il minimo il rischio di scontri armati con le milizie sciite. Così per Tel Aviv la soluzione è modificare il mandato della missione. Ovvero ridurre al minimo i suoi compiti, ridimensionare il numero dei 10.024 effettivi e l’area del loro dispiegamento in modo che i caschi blu continuino a occuparsi solo delle comunicazioni tra Tel Aviv e Beirut, delle missioni di reporting e dei progetti a beneficio della popolazione locale. Tradotto, lascerebbero il campo quasi del tutto libero all’esercito di Israele.

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